I
fiumi straripano, le colline franano, crollano palazzi storici e capannoni
industriali scossi dai terremoti e intanto qualcuno ai piani alti, nei palazzi
romani, inizia a discutere di messa in sicurezza del territorio.
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Cassano delle Murge 25 ottobre 2005 - Foto Archivio Vito Stano |
Durante
la mattinata di oggi il ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha reso noto che
in futuro sarà «vietato abitare nelle zone ad altissimo rischio di alluvione», saranno
previsti «lavori di manutenzione dei corsi d'acqua e di difesa dei centri
abitati, ricupero dei terreni abbandonati, difesa dei boschi, protezione delle
coste e delle lagune esposte all'innalzamento del mare, assicurazione
obbligatoria per le costruzioni nelle zone a rischio di inondazione, riattivazione
dei Bacini idrografici».
Questi
alcuni punti delle linee strategiche per il Piano di adattamento ai cambiamenti
climatici, la gestione sostenibile e la messa in sicurezza del territorio,
linee strategiche che il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, ha inviato al
Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica). Il piano
strategico sulla difesa del territorio dai rischi idrogeologici sarà discusso
dal Cipe in una delle prossime sedute, d'intesa con i ministri delle Politiche
agricole, delle Infrastrutture e dell'Economia e finanze.
«Il
programma di difesa del territorio – si legge nella nota del Ministero – sarà
finanziato usando una parte dei proventi, il 40%, delle aste per i permessi di
emissione di anidride carbonica, proventi che la legge destina per almeno il
50% ad azioni contro i cambiamenti del clima. Un'altra quota delle risorse
potrà venire dai carburanti, rimodulando diversamente gli oneri a parità di
peso fiscale. Come misure urgenti, – continua – vengono finalmente attivate le
Autorità distrettuali di bacino idrografico, le quali da sei anni avrebbero
dovuto sostituire le vecchie Autorità di bacino soppresse dalla legge 152 del
2006; inoltre, divieto immediato di abitare o lavorare nelle zone ad altissimo
rischio idrogeologico».
In
particolare il documento prevede che ogni quattro anni venga aggiornato il
Rapporto scientifico sui rischi dei cambiamenti climatici e che vengano
aggiornati al 2013 i piani di assetto idrogeologico (Pai) delle Autorità
distrettuali idrografiche. Le priorità di intervento sono per esempio limiti
alle costruzioni nelle zone a rischio, il contenimento nell'uso del suolo, la
manutenzione dei corsi d'acqua (con regimazione, pulizia degli alvei e altri
lavori), il ricupero dei terreni abbandonati o degradati puntando sulle colture
tradizionali e di qualità, la pulizia dei boschi usando il legname raccolto
anche come biomassa per produrre energia pulita. Il diradamento dei boschi più
fitti servirà anche a ridurre gli effetti degli incendi che, distruggendo le
piante, minacciano anche la stabilità geologica. Nel caso delle foreste
demaniali, il documento presentato dal ministro Clini propone per esempio di
fermare i rimboschimenti fatti con pini e abeti d'importazione e di piantare
invece alberi tradizionali della zona.
Un
altro punto fondamentale sarà preparare le misure più idonee per difendere le
coste dall'effetto dell'innalzamento del mare. «Le previsioni dei climatologi
sono molto preoccupanti e risultano molto esposte al rischio di alluvione tutte
le zone costiere dell'alto Adriatico, da Ravenna a Monfalcone, dove molti
territori si trovano a quote inferiori al livello del mare», commenta il
ministro. «Oggi quei terreni sono difesi e tenuti asciutti da un sistema di
canali di scolo e di idrovore concepito fra l'800 e il '900, quando le piogge
erano diverse e il mare non minacciava di diventare più alto». Il prelievo sui
carburanti, secondo il ministro, non graverà sulla crescita economica perché
sarà una rimodulazione, uno spostamento, «a parità di peso fiscale», osserva Clini.
L'assicurazione
obbligatoria, infine, si rende necessaria «per consentire a chiunque viva o
lavori nelle aree a rischio idrogeologico di avere la certezza del risarcimento
in caso di danni, per ridurre i costi dei premi assicurativi e per non gravare
sulle tasche di tutti gli italiani - conclude il ministro - attraverso i risarcimenti
con fondi pubblici».
Dunque
seppur in netto ritardo sulla tabella di marcia globale qualcosa sembra sia
stia muovendo. Intanto le ultime immagini giunte da Taranto o soltanto quelle
di qualche settimana fa dalla Toscana hanno inferto un altro duro colpo alla
percezione del disastro in cui il Paese langue. E come se non bastasse a
proposito di “disastri naturali” in questi giorni il quotidiano americano New
York Times ha fatto riferimento alla gestione del dopo-terremoto che distrusse
il centro storico de L’Aquila per dire agli americani come non si deve
affrontare il dopo-Sandy, ovvero l’urugano che ha spazzato la East Coast. Certo non è edificante
leggere notizie del genere su quotatissimi giornali esteri, ma è pur vero che
non si può occultare o offuscare la dura realtà. Il dissesto idrogeologico
della penisola italiana è il frutto di decenni di incuria e abbandono da parte
degli organi deputati, che tradotto in soldoni significa che anziché prevenire
i gravi rischi connessi al cambiamento climatico e alla cattiva gestione delle
risorse naturali, si è preferito
derogare al buon senso, lasciando ampio spazio d’azione alle calamità. Il
terremoto che ha avuto come epicentro L'Aquila, alle 3:32 del giorno 6 aprile del
2009, ha fatto registrare un magnitudo di 5,8 gradi Richter, e ha prodotto uno
sciame di polemiche e accuse tradottesi soltanto qualche settimana fa in una
sentenza di colpevolezza espressa dal Tribunale de L’Aquila per i membri della
Commissione Grandi Rischi. «Siamo fortemente in disaccordo con quelle
istituzioni scientifiche e con quei mezzi di comunicazione che continuano a
travisare, in modo irresponsabile ed irragionevole, i capi di accusa e la
sentenza del processo, influenzando il pubblico con infondati scenari», queste
le parole con le quali l'Isso (Associazione internazionale sulla sicurezza
sismica) ha espresso sostegno alla sentenza sbaragliando le polemiche. Gli
scienziati, che aderiscono all'Isso, dopo aver valutato attentamente la
situazione processuale, esprimono sostegno alla sentenza, emessa dal Tribunale
de L'Aquila e manifestano l'auspicio di poter cambiare la situazione in Italia,
con maggiore responsabilizzazione delle Istituzioni sulla valutazione del
rischio sismico e sulla comunicazione del rischio alla popolazione, in modo da
salvare migliaia di vite umane nel futuro (Vglobale.it).
In
sintesi è ora di assumersi delle responsabilità e bandire la vituperata
abitudine italiana di scaricare le colpe sulla Natura. Proprio il ministro della
Coesione territoriale Fabrizio Barca ha risposto al critico d’arte del New York
Times Michael Kimmelman dichiarando che «entro la fine dell’anno, il Cipe
delibererà l’assegnazione di 2 miliardi per i progetti di ricostruzione dei
centri storici abruzzesi colpiti dal sisma del 2009. Non si tratta – ha
precisato Barca – di fondi nuovi, ma di fondi che già c’erano, ma non si
potevano assegnare, perché mancavano i progetti. Il vero problema, nel caso
aquilano, ma anche in altre vicende di ricostruzioni italiane, non è infatti –
secondo il ministro – nella carenza finanziaria, ma piuttosto in una mancanza
di capacità di progettazione e di coordinamento degli interventi, oltre che
nella difficoltà di controllo».
Dall’esempio
dell’Aquila, New York – chiosa Michael Kimmelman – dovrebbe apprendere che un
evento catastrofico può rappresentare l’input
per cambiare un territorio senza rincorrere progetti faraonici o idee
irrealizzabili.
05.12.2012
Vito
Stano
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