sabato 1 dicembre 2012

«Guardare a destra o a sinistra, Berlusconi o Bersani, se non ci diamo una mossa, non farà nessuna differenza. Occorre cambiare tutto»: Paolo Ferrero indica un'alternativa possibile per uscire dalla crisi

Primarie si, primarie no. Decisamente primarie no. Magari invece di scalpitare per il populismo di un centro-sinistra che  fa credere di voler cambiare tutto (pur rimanendo saldamente al fianco di Monti, con Pdl e Udc) sarebbe meglio impegnare alcune ore del nostro prezioso tempo a capirci qualcosa in più. I testi consigliabili sono tanti e tra questi Pigs! di Paolo Ferrero, edito da DeriveApprodi, con il quale il segretario di Rifondazione Comunista, già ministro del Welfare, cerca, e ci riesce bene, a spiegare perché oggi siamo dove siamo. Il sottotitolo è esplicativo La crisi spiegata a tutti. Questo sottotitolo potrà suonar banale a coloro i quali della crisi credono di sapere tutto e invece per quanto il bombardamento mediatico ha, dal 2007 ad oggi, letteralmente invaso le coscienze degli italiani, senza però rendere mai veramente comprensibile la genesi di tutto: quando e dove è iniziato tutto? Sono domande tanto semplici quanto cruciali: la storia dello spread che sale e scende ha reso tutto più difficile, in quanto, come sempre la cattiva informazione fa, anziché ridurre ai minimi termini, cioè invece di spiegare in un linguaggio comprensibile a tutti, cerca delle icone alle quali far riferimento, togliendo la possibilità a tutti di capire davvero. Perché se è vero che qualche nozione di economia sarebbe opportuna avercela, è vero anche che non occorre essere scienziati per comprendere dove, chi, come, perché tutto è cominciato. Da queste domande inizierà un viaggio a ritroso all'origine dei problemi, per poi arrivare alle possibili soluzioni proposte da un politico posizionato al di fuori dei capannelli parlamentari e governativi che dal novembre 2011 stanno tutti assieme appassionatamente decidendo quale strada è giusta per uscire dalla crisi.

La crisi è scoppiata nel 2007 negli Stati Uniti d'America, ma la sua genesi va ricercata nelle politiche che da anni vengono perseguite e realizzate a tutti i livelli: per esempio la decisione di abrogare la distinzione tra banche commerciali e banche d'investimento (legge Glass-Steagall) da parte del governo americano (amministrazione Clinton 2007) ha reso possibile che gli istituti bancari potessero fare speculazione finanziaria con i risparmi privati. A questo c'è da aggiungere che negli Usa sono sempre stati finanziati i consumi con la vendita a rate e con il rilascio di carta di credito anche a quei soggetti che non avevano garanzie economiche. Questa possibilità di cui il ceto lavoratore ha goduto, in realtà - spiega Ferrero - è stata necessaria perché dagli anni Ottanta il totale dei salari ha subito un tracollo a favore del profitto. In pratica dagli anni Ottanta ad oggi la forbice tra coloro che hanno così tanto denaro da non sapere cosa farsene e coloro che stentano ad arrivare a fine mese pur lavorando si è divaricata in tutti i grandi paesi industrializzati: «il crollo salariale della quota salariale è compreso tra il -6,2% degli Stati Uniti e il 17,4% del Giappone (...). Per quanto riguarda l'Italia, una ricerca della Banca dei Regolamenti Internazionali pubblicata nel 2007 ha evidenziato che dal 1983 al 2005 i lavoratori hanno perso 8 punti percentuali di reddito, mentre i profitti sono cresciuti nella stessa proporzione» (Vladimiro Giacché, Titanic Europa, 2012). 

Questi dati percentuali rendono l'idea di quello che è accaduto: il denaro è andato via dalle tasche dei lavoratori e non si è volatilizzato, si è semplicemente spostato. Dove? Facile chi già aveva tanto ha accumulato ancora di più. La crisi, come un sindacalista di lungo corso mi ricordò tempo fa, per i lavoratori c'è sempre stata: nel senso che i lavoratori per ricevere reddito dovevano prestare l'opera lavorativa. Dunque cosa è cambiato? È successo che banalmente i governanti di quasi tutti i paesi del mondo hanno dichiarato all'unisono che la crisi è frutto della eccessiva spesa pubblica (il tanto caro e sudato stato sociale europeo), dell'aver vissuto al di sopra delle condizioni, dello sciupio. 

Allora è bene a questo punto chiedersi cosa di così straordinario la classe operaia, concetto chiave dell'analisi comunista, ha fatto in questi anni. Quali lussi si è concesso l'operaio o l'impiegato? E il precario? E il disoccupato e il pensionato? Magari ha acquistato per sfizio una barca o un'auto di grossa cilindrata? Ebbene le risposte a queste banalissime domande potranno aiutare il lettore-cittadino a capire meglio che la crisi, e ancor più la strada scelta per uscirne, è frutto di scelte deliberate volte a smontare i pilastri dello stato sociale, a realizzare una massa di lavoratori sfruttabili e ricattabili, grazie alla possibilità che hanno i detentori del capitale di esportarlo ovunque possa essere più vantaggioso investirlo (Paolo Ferrero). La globalizzazione (e la struttura istituzionale dell'Unione Europea) ha dato la possibilità di far viaggiare i capitali, ma non ha permesso alle persone (tranne ai cittadini dei paesi ricchi) di spostarsi liberamente, basti pensare all'invenzione giuridica del clandestino. Dunque i capitali possono essere spostati dove renderanno di più e le persone invece per spostarsi, magari alla ricerca di un futuro migliore, possono farlo soltanto se sono cittadini europei o americani o di altri pochi paesi o a condizioni scarsamente praticabili. 

Quindi le banche (che investono i risparmi dei contribuenti in spericolate manovre finanziarie), i consumi a credito che fanno sentire benestante anche i meno abbienti, fino a quando (com'è successo negli Usa) vengono a toglierti tutto iniziando dalla casa e poi oltre alle politiche che hanno portato i cittadini a diventare folli consumatori c'è la volontà - secondo Ferrero - di ridurre la condizione umana anziché fare di tutto per estendere i diritti a quanti ancora non ne hanno. Le vie d'uscite, in sintesi, sono individuabili in un'inversione delle politiche, frutto del cambiamento radicale dell'idea di sviluppo: fiscal compact, pareggio di bilancio in Costituzione, tagli alla spesa pubblica (sanità, istruzione, servizi sociali), giusto per fare qualche esempio che Paolo Ferrero porta tra i tanti, questi sono nodi cruciali che devono essere ribaltati. Occorre - sentenzia Ferrero in chiusura del volume - investire in spesa pubblica, riprodurre un nuovo New Deal, che guardi alla riconversione verde dell'apparato industriale, puntare sull'efficientamento energetico del paese, investire nella scuola nell'università e nella ricerca, recuperare in agricoltura le buone pratiche e allontanare l'idea degli Ogm. E ancora rigettare questa idea d'Europa e i trattati su cui si fonda per costruirne una nuova, democratica e federale, che sappia guardare al futuro di un continente da sempre al centro delle dinamiche mondiali. Ma intanto che il meccanismo si metta in moto, è bene prendere consapevolezza che questi governanti (Monti, Berlusconi, Casini, Bersani, giusto per fare qualche nome) stanno firmando (o meglio, lo hanno già fatto) un'ipoteca a nome del popolo italiano, nel nostro caso. Agli italiani e alle italiane il dovere civile di capire i perché della situazione che stiamo vivendo (in quanto è evidente che nessuno avrà interesse a spiegarli) e prendere i provvedimenti più opportuni: il giudice Paolo Borsellino disse in vita «la rivoluzione si fa nelle urne». 

Dunque primarie o no, smettiamo i panni degli infanti affascinati dalle belle parole (se non fosse chiaro, penso al poeta-presidente Nichi Vendola) perché il governo Monti (d'accordo in Europa con la Merkel, Draghi e altri super-titolati Commissari e burocrati europei) ha già tracciato una via e «guardare a destra o a sinistra, Berlusconi o Bersani, se non ci diamo una mossa non farà nessuna differenza. Occorre cambiare tutto» (Paolo Ferrero).

01.12.2012
Vito Stano

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