giovedì 6 dicembre 2012

Taranto prostituta dell'acciaio. L'idea di una Puglia senza l'Ilva


Protesta a Taranto - Foto Vincenzo De Palmis
«Il sit-in di ieri davanti alla Prefettura è stato un successo: ne hanno parlato i giornali nazionali e ci sono i video e foto ovunque. Importante era far sentire la nostra voce e questa volta siamo riusciti ad essere tempestivi. Il Prefetto di Taranto ha ascoltato per oltre un'ora le nostre istanze, che in parte ignorava. Grave sarebbe stato invece il nostro silenzio nel giorno in cui Ilva rientrava in possesso degli impianti posti sotto sequestro». Così commenta un attivista di Taranto Respira su facebook.com; intanto ancora sul social network è possibile leggere che  «la procura di Taranto, attraverso le perizie epidemiologiche ha accertato che 11.550 sono i morti che sono collegati direttamente all'inquinamento industriale. 11.550 morti in 7 anni». Gli animi in questi giorni sono in tensione, a causa della decisione del governo di scavalcare l'indipendenza e la terzietà della magistratura. Il Decreto legge 3 dicembre 2012 n. 207 cosiddetto “Salva Ilva” in pratica legittima il reo, cioè l'Ilva, e con l'urgenza propria del provvedimento affranca il gruppo Riva dal rispetto della legge.
Questa questione ha travalicato i confini regionali, ma ancora è palpabile il disinteresse di coloro i quali non vivono ne lavorano a Taranto. Per questo anche all'Università degli Studi Aldo Moro di Bari il sindacato studentesco Link ha organizzato un seminario presso la Facoltà di Scienze Politiche.

«Taranto è una città ospitata dalla fabbrica, città che si è praticamente prostituita all’acciaio»: ha affermato Roberto Voza, professore di Diritto del Lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi Aldo Moro di Bari. La sua esperienza di docenza presso la sede universitaria di Taranto è palpabile quando afferma che «stiamo scaricando sulla magistratura il dovere di fare politica e – continua – abbiamo appaltato l’etica alla magistratura e questa è una colpa collettiva della politica tutta, non c’è più un’interrogazione politica collettiva
Anche la protesta ambientalista degenera nel not in my backyard. Non possiamo pensare che un manipolo di giudici – chiosa Voza – si debba far carico di un cambiamento ecologico. Tutto quello che da oggi si farà è il segno di una sconfitta: senza l’attenzione della magistratura la situazione sarebbe ancora la stessa».

Franco Chiarello, professore di Sociologia dei processi economici e del Lavoro presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Bari, ha dichiarato che «bisognerebbe portare fuori da Taranto alcune riflessioni urgenti, perché riguardano non solo la città jonica. Taranto è la tessera di un mosaico che riguarda Brindisi, Porto Torres e altre città in cui prevalse l’idea che per portare lo sviluppo occorreva impiantare grandi stabilimenti produttivi imposti dall’esterno, la teoria americana del big push doveva cambiare il volto al Mezzogiorno d’Italia». 
Taranto effettivamente muta la sua pelle dopo gli investimenti: aumenta la popolazione, si registra un forte pendolarismo e una immigrazione, al contrario delle altre città del Meridione. Tutto ciò fu possibile grazie all’apporto dei due grandi partiti di massa, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista; «questa convergenza di interessi fu figlia di una comune ideologia del tempo: la rete clientelare della Dc e l’idea di una proletarizzazione di massa dei contadini del Pc. Il denominatore comune era una cultura industrialista, nella quale non avevano spazio la cultura della salute e dell’ambiente. Per i contadini pugliesi la fabbrica era un’emancipazione dalla fatica delle campagne, rappresentava la sicurezza dl posto fisso»
I pendolari divennero i metalmezzadri

«A Taranto – continua Chiarello –  si creò una aristocrazia operaia, gli operai si sentivano parte di un’élite. Tutto questo trasformò il territorio tarantino, un territorio di grande pregio agricolo, dove la cantieristica navale aveva uno spazio rilevante. La città s’identificava con la fabbrica, ma intanto a partire dagli anni Novanta si sapeva che un insediamento come quello dell’Ilva era dannoso per la salute e per l’ecosistema e intanto il lavoro cambiava, si faceva avanti la precarizzazione del mondo del lavoro e il modello stesso dell’industrializzazione, Taranto avrebbe potuto e dovuto fare un passo avanti»

Da sinistra: prof. Franco Chiarello e prof. Roberto Voza - Foto Archivio Vito Stano 
Ma il professor Chiarello non si spinge oltre affermando che «il modo di produrre dell’Ilva è tra i più arretrati d’Europa e del mondo. Non so se la Puglia di oggi possa convivere con questi impianti produttivi. Le classi dirigenti tarantine hanno continuano a perdere tempo prezioso, senza l’intervento di un potere terzo (la magistratura, ndr) non si sarebbe mai messo mano ad un nodo così aggrovigliato come è quello tra lavoro e salute. La responsabilità politiche sono enormi, io penso – dice Chiarello – che se si riduce la natura a semplice merce, come in passato ha fatto la cultura marxista, e non si immagina un nuovo futuro, da questa situazione non ne se esce. Lo sviluppo non è opera di un solista, lo sviluppo deve essere polifonico, occorre perciò fare un censimento delle risorse ambientali e culturali del territorio. La politica deve coinvolgere i cittadini e soprattutto i lavoratori dell’Ilva al più presto in una progettazione partecipata. 
l’Ilva – afferma il sociologo – paradossalmente era il soggetto più cosciente tra i protagonisti che hanno giocato attorno alla vita di Taranto, prova ne è il fatto che, con una rete di corruttele e regalie, il gruppo Riva cercava di occultare i fatti».

Elvira Tarsitano, presidente Associazione biologi ambientalisti pugliesi, ha fatto il punto sul concetto di sostenibilità«Sostenibilità significa anche parlare di cultura, di socialità e di economia. Non credo che si possa continuare a produrre in questo modo e forse dopo i trentasei mesi previsti nel decreto legge Salva Ilva il gruppo industriale andrà altrove».

«Da un eco villaggio indiano alla fabbrica tarantina, il fascino dell’industria quasi da  film cyber punk non ti lascia indifferente»: così si presenta Marcello Colao, ingegnere ambientale, ex lavoratore dell’Ilva di Taranto, poi licenziatosi a causa della presa di coscienza della grave situazione. «Le dimensioni dello stabilimento dell’Ilva sono sproporzionate rispetto alle acciaierie europee – dice Colao – e la mancanza di sicurezza nei pressi dei convertitori della ghisa, assurdo. Bisognerebbe studiare i valori compatibili con la vita, facciamo un passo indietro e cerchiamo soluzioni alternative. Colao chiude ponendo la questione delle questioni: «produrre si, ma fino a che punto?».

Alfredo Ferrara, dottorando presso l’Università degli Studi Aldo Moro di Bari e animatore dei Quaderni Corsari, si dichiara d’accordo con la proposta del reddito di cittadinanza per affrontare l’uscita dalla società industriale, in quanto oggi la dicotomia tra lavoratore e disoccupato così familiare nel dopoguerra non c’è più, oggi Totò e Aldo Fabrizi, protagonisti di Ladri di biciclette di Monicelli, sono due  facce della stessa medaglia (A. Ferrara).

I punti di vista su Taranto aumentano ad ogni incontro e le soluzioni non approdano in nessun porto; quindi cosa emerge da queste discussioni? Domande, domande e ancora domande: per esempio a chi la responsabilità dei lavori di manutenzione e di ambientalizzazione, ai responsabili del disastro ambientale? E poi ancora la globalizzazione ha spostato nel Sud del mondo le produzione per poter inquinare senza grandi freni e produrre senza rispettare i diritti dei lavoratori e dei cittadini?
Contraddizione clamorosa tra globalizzazione ed ecosistemi: l’Occidente ha tracciato la strada da percorrere al resto dei Paesi, ma la grande parte dell'inquinamento mondiale si produce ancora nei Paesi occidentali. Intanto, per citare qualche caso interessante, la provincia cinese del Guangdong, gemellata con la Puglia, ha dismesso un grande impianto e lo ha ricomposto in cinque piccoli impianti meno impattanti (F. Chiarello). 

Potrebbe essere una soluzione? Ecco una altra domanda. 

06.12.2012
Vito Stano

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