mercoledì 9 giugno 2021

Conversazioni. La Gran Bretagna che accoglie: l'esperienza universale degli expat nelle parole di chef Piero Campanale

a cura di Vito Stano

Il viaggio continua e il ritorno sull'isola britannica non lo facciamo soltanto con la fotografia, come pure stiamo facendo, ma anche con le voci lontane degli expat. Questa volta però il protagonista è un expat ritornato in Patria. Piero è l'archetipo dell'espatriato, che detta così farebbe anche sorridere: lui è andato giovanissimo in Inghilterra e dopo un numero di anni anni e una quantità di esperienze ragguardevoli ha fatto il percorso inverso tornando a noi, in Italia, al Sud.  

Chi è Piero Campanale? Attualmente vivi in Italia, dunque ti possiamo considerare un expat di ritorno. Hai vissuto, da giovanissimo, per alcuni anni in Inghilterra. Raccontaci un po’ di te e delle vita Oltremanica. Quanto tempo hai passato lì? Perché hai scelto l’Inghilterra, c’erano ragioni particolari o hai seguito qualcuno che era già lì?
Io ho da sempre avuto una grande passione per la cucina e per l'avventura, così che all'età di diciotto anni, appena dopo il diploma, mi sono trasferito in Inghilterra, dopo un periodo vissuto a Londra ho trovato il giusto compromesso a Portsmouth, città a sud dell'isola britannica, già conosciuta perché un caro cugino ci viveva da tempo. In più essendo una città di mare l'ho preferita ad altre. All'inizio la mia decisione era dettata dalla voglia di apprendere la lingua inglese, in seguito l'avventura si è fatta sempre più interessante e così ho trascorso nove anni fuori dall'Italia.

Com’era la vita dal punto di vista economico e professionale?
All'inizio è stata una dura prova. Affermarsi professionalmente in un contesto completamente diverso da quello in cui hai sempre lavorato è sempre una sfida, il cui esito non è mai scontato. Superata la prima fase, con il tempo sono arrivate le soddisfazioni che mi hanno portato a una crescita professionale e quindi a una situazione economica stabile.

La vita sociale era ricca o scontavi la condizione del migrante? Frequentavi altri italiani lì? Come definiresti il tuo livello di integrazione nella comunità in cui vivevi?
Guardandomi indietro posso affermare che ero ben integrato: contavo amici e conoscenti di numerose nazionalità, anche grazie al fatto che parlo inglese e spagnolo. Vivevo a stretto contatto con qualche italiano ma anche inglesi, spagnoli, polacchi e portoghesi, solo per fare qualche esempio. Frequentavo anche molti inglesi, dentro e fuori il posto di lavoro. Aggiungo
che, com'è ovvio, scontavo la condizione lavorativa del cuoco, che lascia ben poco tempo alla vita sociale, a prescindere dal Paese nel quale si lavora. Vivendo in Inghilterra, tra l'altro, è difficile non avere contatti con italiani, però posso dire di non essere mai stato un assiduo frequentatore di gruppi esclusivamente italiani. Credo che la mia condivisione di esperienze legate all'Inghilterra abbia portato ad una buona integrazione nella comunità locale, anche grazie al fatto di aver avuto una relazione sentimentale con una ragazza del posto. Quindi ero ben inserito nella vita della città e nella sua rete di relazioni.

Che lavori svolgevi?
Sono un cuoco quindi ho sempre lavorato in cucina, all'inizio in un ristorante italiano come molti all'esordio, poi ho cercato sempre di inserirmi in ambienti internazionali.

Parlavi già inglese o l’hai imparato vivendo lì?
Il mio livello di inglese era elementare quando mi sono trasferito e quindi  mi obbligava ad una posizione sempre marginale nella brigata di cucina. Ho frequentato un college inglese che mi ha permesso di conseguire il diploma e di inserirmi in un ambiente internazionale.

La comunità italiana era presente e visibile come in Irlanda?
Certo, era presente e anche abbastanza attiva. Devo ammettere che è un punto di riferimento per  ragazzi che vogliono intraprendere questa esperienza. Penso che la partita di calcetto tra italiani in realtà sia l'espressione di una voglia di sentirsi parte di una comunità al 100%, poiché, quando si vive all'estero, non è raro vivere episodi di esclusione. Quindi la comunità italiana per alcuni è un punto di appoggio importante, per altri un po' meno. 

Cosa pensi della situazione venutasi a creare a seguito della Brexit?
Ho vissuto il periodo Brexit in Inghilterra, cosa che mi ha permesso di capire le dinamiche  politiche relative al referendum. Devo ammettere che all'inizio si respirava un sentimento di incertezza sul futuro del sistema, poi però basta adeguarsi alle nuove norme e leggi che cambiano, così come accade in molti Paesi del mondo. Penso comunque che l'argomento Brexit sia ancora molto acerbo per analizzare le sue conseguenze.

L’Irlanda è Unione Europea e i cittadini europei non subiscono discriminazioni in temi di diritto al lavoro e alla residenza stabile. Cosa pensi della terra dei Celti, non ti attrae?
Ci sarebbe molto di cui parlare! Ci sono stato, anche se per poco tempo, e ho un ottimo ricordo. Penso che in tutte le culture ci sia sempre un qualcosa di attraente. Però viverci e viaggiare per conoscere sono cose differenti. Quando vivevo in Inghilterra non ci ho mai pensato di trasferirmi in Irlanda e meo che meno ora che sono in Italia. Anyway una terra grandiosa!

martedì 8 giugno 2021

Storia. La questione giuliana nella strategia del maresciallo Tito nell'ottica della nuova Jugoslavia federale e popolare

di Vito Stano

Il dibattito italiano a proposito dell'esodo istriano e giuliano-dalmata, causato dagli esiti della guerra e, in particolare dagli episodi di giustizia sommaria (infoibamenti) oltre che dalla strategia, più o meno velata, della costituente Repubblica Federale di Jugoslavia di annettere i territori occupati durante le fasi della guerra di liberazione e assimilare le popolazioni presenti su quei territori, troppe volte è risultato monco: non che la parzialità delle ricostruzioni sia un fatto alieno, ma la volontà di dipingersi oggi come vittime di un disegno di annessione senza considerare, colpevolmente, le cause che condussero alla guerra e all'invasione dell'esercito fascista del Regno di Jugoslavia è quantomeno scorretto. Inoltre è, come dimostrato in più occasioni, un atteggiamento teso all'autoassoluzione senza riguardo alcuno per le vicende storiche occorse e le ricadute da queste causate. 

La vicenda delle foibe (e dell'esodo dai territori contesi) è un esempio di come la storia possa ancora scaldare gli animi senza risolvere i buchi neri creatisi (più o meno naturalmente) per poterci nascondere le responsabilità politiche e con esse le colpe collettive, come avvenuto in Italia (e agli italiani) a proposito delle esperienza in Etiopia, Eritrea e Libia e più recentemente, al principio del XX secolo, con le popolazioni 'alloglotte' del confine a nordest. A queste considerazioni approdo dopo la lettura di un agile libro dello storico Rosario Milano dell'Università di Bari. Il volume dal titolo La Gran Bretagna e la questione jugoslava. 1941-1947 non è il suo ultimo lavoro di ricerca, ma proprio da questo sforzo intellettuale voglio iniziare un percorso per scrivere di storia del Novecento, perché anche se dal titolo pare che gli argomenti siano particolari e specifici, dalla lettura (scorrevole come un romanzo storico) si deduce quanto questa storia parli anche di Italia e della diatriba che ebbe come centro nevralgico Trieste. Molto è stato scritto e molto altro è stato detto in contesti molte volte inopportuni, quello che però fa fatica a sedimentarsi sono le ragioni e le cause che hanno condotto i protagonisti della storia raccontata a prendere le decisioni che hanno cambiato il corso della storia del tempo. 

Com'è ovvio trattare il 'tema Trieste' significa mettere sul piatto la mai sopita questione istriana-giuliano-dalmata: nel volume infatti se ne parla in uno dei dieci capitoli. La questione giuliana e la nuova offensiva jugoslava in Grecia sintetizza, per quanto possibile, la complessità della vicenda che ebbe come protagonista il maresciallo Tito e la sua voglia di guadagnare territorio, in particolare attrverso gli sforzi diplomatici e tattici compiuti al fine di mettere in difficoltà le grandi potenze (Gran Bretagna in primis) in quel gioco di riassetto dei territori del continente europeo al quale, in realtà, sia Tito che Churchill erano impegnati già durante lo sforzo bellico. La capacità del maresciallo Tito fu di riuscire a compattare le diverse anime che componevano il variegato popolo jugoslavo e portarlo, attraverso l'uso delle armi, a liberarsi dal giogo nazista e dalla volontà dei collaborazionisti monarchici (cetnici) e filofascisti (ustascia) di eliminare i comunisti che costituivano l'esercito di liberazione jugoslavo. 

La storia con il passare del tempo va rivista ed eventualmente vanno apportati gli aggiornamenti frutto di nuove ricerche. Quello che si dimentica (specialmente in alcuni ambienti chiacchieroni) è che i libri di storia vanno letti e, in ogni caso, vanno evitate le strumentalizzazioni politiche, utili soltanto a inacidire il dibattito e a confodere gli spaesati elettori. Non foss'altro per evitare inutili screzi ai piani alti della diplomazia come già avvenuto nel recente passato tra Italia e Croazia.