venerdì 24 luglio 2020

Sbronza di bellezza, risveglio da racconto distopico: carabinieri arrestati nel Bel Paese

La sbronza e il rimedio
Il caldo di luglio appiccica. E se ripenso alla notte a cui sono sopravvissuto, beh è meglio che non mi esprimo. Seguendo la regola dell'alcoolista festaiolo, torno lì dove ho preso la sbronza (da film) la notte precedente: accendo la tv, la usb è ancora inserita. Cerco il titolo, trovato. Baraka, film documentario tutto musiche e immagini. E che immagini! Mi accomodo e... che meraviglia! Fotogrammi che sorprendono per unicità e bellezza accompagnati da musiche sognanti. Un soffio e il film è finito. Bellissimo, unico. Ne scrivo via chat ad un amico, entusiasmante a dir poco.

La scoperta e lo sconcerto
Su questa onda torno per qualche secondo alla realtà (SkyTG24) e tutto cambia, la realtà è un puzzo confuso. Un orrendo sacchetto maleodorante, stracolmo e rotto. La notizia del giorno è l'arresto dei carabinieri a Piacenza. Provo disgusto profondo. Almeno l'Arma dei Carabinieri no! Non passa molto che, tra sconcerto e voglia di essere smentito, condivido la notizia via chat privata. Altro che smentita! Mentre mi affannavo davanti alla tv, avevo ricevuto il link della stessa notizia. 

Cerco conferma sul sito dell'Ansa.it e mi pare di vederla a sinistra, clicco e attendo: apre e di nuovo sconcerto. Leggo e sudo. Di nuovo vergogna. La notizia che sto leggendo non riguarda i carabinieri di Piacenza, ma il maresciallo di stazione del mio assolato paesino pigramente adagiato sulle basse alture murgiane. Cosimo Maldarizzi è accusato, riporta il sito dell'Ansa, di peculato, depistaggio e omessa denuncia da parte di pubblico ufficiale. Una storia lontana da quelle dei suoi colleghi di uniforme emiliani, pare infatti che si sia trattato di una cisterna non riconsegnata al legittimo proprietario, ma ad un gestore di un noto agriturismo della zona già conoscente del maresciallo. Insomma una storia che il caldo di questi giorni potrebbe fare andare in putrefazione.

Il carteggio via chat
Via chat possono consumarsi le migliori conversazioni, si sa. Le parole restano e quindi l'interesse nell'atto di scriverle è palese. Verba volant si sa, i messaggi di messanger invece no. 

Un invito alla responsabilità è una cosa che sembra banale e invece credete a me, non lo è affatto. In sintesi scambiando qualche battuta in privato sostenevo che i carabinieri hanno scelto in tutta libertà di seguire una strada onorata e piena di innegabili rischi. Hanno assunto una decisione. Molti altri, e non mi riferisco solo a chi fà del crimine la sua quotidiana professione, non hanno avuto grandi possibilità, hanno scelto di impegnarsi in impieghi più o meno rischiosi, più o meno in vista all'interno della comunità. Per questo leggendo i commenti (inevitabili) sui gruppi di facebook (ne ho visto uno in particolare) resto basito e non posso che provare vergogna. Sì, vergogna per un dileggio dell'uniforme e più in generale dello Stato a cui tutti proviamo a tendere idealmente e fattivamente nelle nostre azioni quotidiane. 

Il mese di luglio dell'anniversario della strage di via D'Amelio, in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta. Il mese di luglio dell'anniversario della morte di Carlo Giuliani, ucciso da un carabiniere e poi schiacciato dall'auto di servizio durante le proteste al G8 di Genova nel lontano 2001. E chissà quanti altri anniversari vicini e lontani. Alcuni più longevi nella memoria collettiva (come il caso Cucchi) e altri fossilizzati soltanto nella memoria privata. Intanto nella canicola estiva non altro che sconcerto e schifo. 

Almeno i carabinieri no, altrimenti il senso della Stato e la cultura della legalità dove vanno a finire?

In ogni caso l'ordinamento giudiziario prevede due gradi di giudizio di merito, più il vaglio finale della Cassazione sulla forma. Anche se la gogna mediatica è già a pieno regime, non dimentichiamo la forma democratica su cui si fonda il nostro Paese. Tutti innocenti fino alla sentenza definitiva.