lunedì 19 novembre 2012

"Occorre una legge che realmente guardi all’area di Taranto come un’area necessaria per il Paese. La città va salvata da un destino di inquinamento che a questo punto sembra millenario": intervista al giornalista tarantino Fulvio Colucci



Fulvio Colucci, giornalista de 'la Gazzetta del Mezzogiorno'
Foto Archivio Vito Stano
Dopo avere letto “Invisibili” è scattato un corto circuito e allora ho capito che dovevo allontanarmi dal quadro per poter meglio guardare l’insieme. In modo particolare ho capito che dovevo prestare più attenzione ai fattori che compongono il tutto: il lavoro e la salute prima di tutto. Ho deciso quindi che per raccontare la situazione tarantina era necessario capire le ragioni dei protagonisti della città e della fabbrica e anche alcuni osservatori eccezionali, tra questi il giornalista de “la Gazzetta del Mezzogiorno” della redazione di Taranto Fulvio Colucci in prima linea da tempo.

Intanto la magistratura ha «autorizzato - si legge in un articolo di Domenico Palmiotti sul sito de 'Il Sole 24 Ore' di lunedì 19 novembre - una nave a scaricare 45mila tonnellate di materiali. La deroga alla direttiva che fissa il doppio limite all'azienda – 15mila tonnellate di scarico per volta e giacenze non superiori ai 15 giorni – arriva dopo l'ipotesi di fermata generale e improvvisa il 14 dicembre per assenza di materie prime fatta dal presidente Bruno Ferrante nei giorni scorsi. L'Ilva dice che il via libera vale solo per una nave e solo per un quantitativo, e il rischio di fermata dunque persiste».

A questo link l'articolo completo de 'Il Sole 24 Ore':
http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2012-11-18/futuro-ilva-giorni-decisivi-081256.shtml?uuid=AbFHG93G&fromSearch

A cura di Vito Stano

Il lavoro è determinante per venire a capo della situazione, infatti la contrapposizione tra operai e attivisti pro salute e pro ambiente è il nodo da sciogliere. Dalla tua postazione che definirei di trincea e in virtù della notizia che hai dato sulla Gazzetta (“Annuncio choc di Ferrante «L’Ilva chiude il 14 dicembre con gravi rischi di incidenti»” del 16 novembre 2012) quali sono le prospettive?

Le prospettive sono che se stiamo alle parole del presidente dell’Ilva alla Procura della Repubblica il 14 dicembre dovrebbe chiudere l’area a caldo, perché non ci sono materie prime da immettere nel ciclo integrale e quindi non c’è più possibilità di creare l’acciaio. Le prospettive dunque non sono certamente rosee, ci troviamo di fronte a una situazione di grande difficoltà perché abbiamo un quadro complicato dall’inchiesta e dalle scelte fatte e quindi dalla necessità di venire fuori da una situazione non facile: di fronte abbiamo sempre il nodo salute e ambiente, da un lato, e occupazione, dall’altro. Un nodo che non si è sciolto, perché la fabbrica continua a produrre e quindi, secondo l’inchiesta della magistratura, si continua a commettere il reato di disastro ambientale e dall’altro lato c’è all’interno della fabbrica una situazione problematica, come dicevi tu, il lavoro, questa parola che è diventata quasi sconosciuta. C’è il lavoro di quasi 11mila e cinquecento persone che è a rischio, ma ormai dire a rischio è un eufemismo, perché noi abbiamo da calcolo poco meno di mille persone in ferie forzate già a partire da questa settimana e poi la cassa integrazione che ufficialmente scatta a prescindere dalla trattativa con i sindacati per 2mila persone per tre mesi. Questo nell’aria a freddo, quella che si pensava non sarebbe stata colpita dove avviene la cosiddetta laminazione dei prodotti, un’area che si pensava che non sarebbe stata toccata dalle criticità dell’inchiesta e dei problemi ambientali. Però d’altro canto viveva già dapprima dell’inchiesta dell’area a caldo una situazione di criticità del mercato e quindi di difficoltà di piazzare i prodotti. Poi al netto di quello che potrebbe succedere il 14 dicembre, dal giorno uno del mese, secondo quelle che sono le prescrizioni dell’Aia previste dal Ministero dell’Ambiente, l’altoforno numero uno si ferma per l’ambientalizzazione, cioè per quei lavori che lo dovrebbero rendere ecocompatibile e dovrebbero impedire finalmente che inquini. Insieme all’altoforno si dovrebbero fermare mi pare due o tre batterie della cokeria.

Questo cosa comporta?

Comporta l’esubero di 2mila persone così di botto; questo numero si aggiunge al numero (mille, ndr) dell’aria a freddo. Cosa succede per queste persone?

Non vengono reintrodotte nel processo di ambientalizzazione?

Fino a poche settimane fa si pensava che queste persone sarebbero state ricollocate, ma adesso con la cassa integrazione nell’aria a freddo queste persone inevitabilmente non saranno ricollocate. L’Ilva lo ha detto e quindi si apre uno scenario drammatico da questo punto di vista. Ecco perché occorre capire finalmente qual è il nuovo passaggio di questa vicenda enormemente intricata.

Qual è dal tuo punto di vista?

Probabilmente adesso bisogna capire cosa succede rispetto all’applicazione dell’Aia e rispetto a quelle che saranno le decisioni della magistratura, che di decisioni ne ha già prese. L’Ilva chiede il dissequestro degli impianti per produrre così da poter (dichiara la proprietà, ndr) avere quella disponibilità in cassa necessaria per fare gli investimenti per l’ambiente. Ma il dissequestro degli impianti non può avvenire attraverso una trattativa, perché la magistratura certamente non tratta, e quindi siamo difronte alla necessità di venire da questa situazione. Onestamente una soluzione all’orizzonte non c’è, perché noi abbiamo due situazioni diverse: una situazione di tipo giudiziario e poi le decisioni del governo, sono due binari paralleli che così non si possono incontrare. Io credo che a questo punto bisognerà capire se l’Ilva fa dei concreti passi avanti, li ha solo annunciati fino ad ora, se dopo aver presentato il piano industriale e aver avuto l’ok dal ministro dell’Ambiente Clini fa realmente conoscere questo piano industriale che dovrebbe mettere mano agli impianti e fa capire bene l’ordine degli investimenti.

Non si a quanto ammonteranno gli investimenti?

Una prima stima parlava di 3 miliardi e direi che è una stima verosimile, anche se poi se i 3 miliardi li consideriamo in ragione dell’ambientalizzazione degli impianti, mentre molti e molti più soldi ci vogliono per la bonifica. Certamente molto di più di quelli che ha previsto il governo nel famoso decreto per Taranto dello scorso agosto, che prevedeva in relatà molti soldi per il porto e pochi soldi per le bonifiche vere e proprie. Occorre credo una mobilitazione del governo non circoscritta al Ministero dell’Ambiente e che realizzi finalmente una legge per Taranto per esempio e che permetta di fare concreti passi avanti. Attenzione una legge per Taranto che non salvi la situazione che c’è.

Un condono magari?

No, occorre una legge che realmente guardi all’area di Taranto come un’area necessaria per il Paese, nella quale se si deve continuare e a produrre acciaio si deve produrre in maniera pulita e comunque la città va salvata da un destino di inquinamento che a questo punto sembra millenario, sembra perenne; il che non può essere perché abbiamo pagato, in termini di vite umane, non lo dico io ma il Ministero della Salute e i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, un contributo altissimo. Se non c'è una legge che rispetti l'ambiente risanandolo, ed è difficile che ci sia in questa situazione politica ed economica, è meglio per Taranto voltare pagina.

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