Il governo dei saggi del Presidente. Questo sembra davvero il titolo di un film, ma è la disgrazia che è capitata all'Italia. Molti gridano al golpe istituzionale: l'Italia è diventata un Repubblica presidenziale e il Parlamento appena eletto è stato spodestato, con buona pace degli elettori del M5S e dei suoi onorevoli cittadini. Dal profilo di Vito Crimi, senatore e capogruppo al Senato del Movimento 5 Stelle, prediamo a prestito un suo pensiero sulla situazione politica.
02.04.2013
V.S.
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Capogruppo al Senato M5S Vito Crimi - Foto facebook.com |
Se
la coerenza (che molti spacciano per presunzione) è una colpa, ebbene sì,
abbiamo questa colpa “essere stati coerenti”. Ma sia chiaro che siamo pronti a
farlo ancora e poi ancora. Ciò che non condividiamo è il pensiero di chi
individua l’errore nel non aver ‘fatto un nome’.
Molti,
ancora oggi, ci chiedono perché non abbiamo fatto un nome. Ed ogni volta ci
ritroviamo a rispondere: perché avremmo dovuto fare un nome?
Mai
ci è stata richiesta - da chi istituzionalmente avrebbe potuto farlo -
un'eventuale proposta. La circostanza pareva destare interesse la sola stampa,
tuttavia più per mera curiosità giornalistica (gossip), che per una reale
prospettiva politica.
Al
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano abbiamo ribadito la serietà
delle istanze del Movimento 5 Stelle, e la nostra intenzione di proporre una
rosa di nomi altrettanto autorevole ed importante, tale da renderne scontata
l’approvazione in sede parlamentare tramite voto di fiducia. Si sarebbe
trattato di personalità di alto profilo professionale, nonché di marcata e
riconosciuta distanza dal mondo politico e da incarichi istituzionali che
potessero suggerirne una contiguità. La
risposta è stata il silenzio.
Personalmente
ho osato ancora di più, chiedendo al Presidente di allontanarsi dall'orizzonte
politico, di cercare altrove, fuori della realtà dei partiti, ovvero laddove
oggi chiedono si rivolga il suo sguardo quanti nelle elezioni appena trascorse,
tra voti al M5S e astenuti, hanno voluto comunicare la loro insofferenza nei
confronti della classe politica. La soluzione migliore era pertanto un governo
fuori dalla politica.
Come
ho in precedenza scritto nel mio resoconto, il Presidente ci ha manifestato la
sua propensione a non promuovere un’esperienza con individualità e virtù
estranee al palcoscenico politico (portando a tal proposito come esempio il
governo Monti, ma non era quello il modello che intendevo ahimè, e comunque
ritenendo non ripetibile quella esperienza) e a seguito di elezioni politiche
avrebbe potuto vedere la luce solo un governo politico. Cosa
avremmo potuto dire di più? Niente. La
posizione del Presidente era chiara ed esplicita: nessun governo fuori dal
mondo politico. A che pro fare nomi? Nemmeno
Pierluigi Bersani, nelle occasioni d’incontro e nei colloqui che ci hanno visto
partecipi, ma neanche all'esterno, ha mai palesato la volontà di coinvolgere
persone avulse dalla politica, volgendo anzi lo sguardo a persone a lui vicine
e ponendosi sempre in veste di Premier, senza alcuna alternativa.
Potevamo
noi fidarci? No. Troppe volte abbiamo riposto fiducia incondizionata, troppe
volte abbiamo demandato, troppe volte abbiamo lasciato correre, nella speranza
che ci fosse una prossima volta per rimediare. A
quanti oggi sostengono che avremmo dovuto offrire una possibilità a Bersani e
al PD, chiedo: quante possibilità gli sono state concesse in questi ultimi
anni? Quante occasioni hanno avuto per mantenere promesse che sistematicamente
venivano disattese? Quando si sono degnati di abbandonare il ruolo di
‘stampella’ di Berlusconi, per indossare finalmente le vesti di una reale forza
di opposizione, che potesse aspirare un giorno ad un ruolo di governo per
risollevare le sorti del Paese? Perché questa doveva essere la volta buona?
Cosa è cambiato?
Abbiamo
dinnanzi gli stessi interlocutori di sempre, e da questi provengono ancora le
medesime parole e illusioni che da decenni ci propinano, senza averne mai
portata a realizzazione alcuna. A tal proposito, abbiamo prodotto un elenco di
motivi per i quali non avremmo mai potuto fidarci: l’iniziativa, partita
inizialmente quasi per gioco, si è rivelata essere un’inesauribile fonte di
ragioni e argomenti. Dopo
aver preso atto, dunque, che mai si sarebbe presa in considerazione l’ipotesi
di personaggi estranei all'universo politico ed in particolare di Bersani,
abbiamo ritenuto uno spreco di energie l’avanzamento di eventuali proposte:
qualunque personalità avessimo suggerito sarebbe servita soltanto a sfamare gli
ingordi trangugiatori di gossip, e a fomentare la speculazione giornalistica
che da tempo adombra la nostra attività parlamentare. E
se facendo un nome Bersani ci avesse dato il placet? Cosa avrebbe significato?
Che avremmo avuto il contentino, un nome, e poi il governo voluto da Bersani e
dal Partito Democratico al quale avremmo dovuto dare la fiducia…. No nessuna fiducia al Pd il
messaggio è chiaro. Tanto
valeva a quel punto trovare un accordo e dividersi i ministeri… ecco quello
significava fare dei nomi a chi aveva come unico interesse formare il “suo”
governo e ottenere la “nostra” fiducia.
Qual
è invece il senso – il non senso, anzi – dell’iniziativa del Presidente? Anche
se inizialmente poteva indurre l’impressione di una svolta verso la
detronizzazione della casta politica, la scelta di Napolitano non è altro che
un’ulteriore conferma della cecità che ha colpito la classe politica: ancora
non ha compreso il risultato di queste elezioni. La
logica partitica si riscontra oggi nei gruppi ristretti indicati dal
Presidente, che di ‘saggio’ hanno ben poco, e di politico hanno tanto. Altro
non sono che la perfetta sintesi della realtà di partito che non vuole saperne
di liberarci della sua presenza, ed alla quale gli elettori, con il voto di
febbraio, hanno già detto addio. Questa
scelta dimostra che il sentimento degli elettori è ben lungi dall'essere
compreso, e rende ancor più chiara la volontà della classe politica a
proseguire nel solco della casta, riproponendo Violante, colui che nel 2003
svelò senza vergogna né pudore l’inciucio con Berlusconi, ed ancora oggi gode
degli assurdi privilegi riservati agli ex Presidenti delle Camere.
È
evidente che non hanno capito – o non vogliono capire – la lezione. Come
potremmo fidarci, dunque, di tali individui? Non
è vero, inoltre, che la scelta ci soddisfi: non ci è mai piaciuta alcuna
soluzione che estromettesse il luogo istituzionalmente previsto per la
formazione delle leggi, ovvero il Parlamento. Come
si evince dalla mia precedente nota, l’unico aspetto cui con piacere abbiamo
dato risalto è la condivisione, da parte di Napolitano, delle ragioni che da
mesi sosteniamo (ricevendo in risposta sberleffi e critiche di presunti e
sedicenti esperti costituzionalisti): un esecutivo c’è sempre, ed è inoltre
possibile andare avanti con un governo abilitato a gestire i soli affari
ordinari, subordinato all'approvazione del Parlamento per la promulgazione di
atti d’urgenza. Una
condizione, quest’ultima, che restituisce centralità al Parlamento, purché
questo inizi a lavorare a pieno regime e non a regime ridotto, delegando, come
oggi avviene, ad una sola commissione speciale la trattazione degli affari
sopra detti.
Forse
poteva essere intrapresa una strada mai percorsa prima, e cioè di affidare il
governo a Bersani che con i suoi ministri poteva presentarsi al Parlamento e
qualora non avesse ricevuto la fiducia poteva continuare, alla stregua
dell'attuale governo Monti, senza la fiducia ma solo per gli affari ordinari.
Almeno sarebbe stato rappresentativo di una maggioranza relativa e non di una
strettissima minoranza come il governo Monti in regime di prorogatio. Il
Movimento 5 Stelle è stato l’unico ad invocare a gran voce l’immediata ripresa
delle attività in Parlamento. In
risposta abbiamo solo ricevuto insulti, venendo tacciati di incompetenza e di
incapacità nel comprendere il complicato mondo della politica. Noi
comprendiamo solo la forte necessità del Paese di disporre di provvedimenti
urgenti. I politici - all'unanimità - hanno ritardato la partenza dei lavori
parlamentari per subordinarli ad accordi politici, per soddisfare la fame di
poltrone con le presidenze delle Commissioni, che si traducono in uffici,
risorse economiche ed umane, e nel potere di decidere cosa inserire - e non
inserire - negli ordini del giorno e nel calendario.
A
queste condizioni, non ci stiamo. I nostri elettori non ci hanno votato per
adeguarci al sistema, ma per scardinarlo, per aprire il Parlamento come una
scatoletta di tonno. E
adesso, cosa accadrà? In tanti ce lo chiedono. Adesso
il Parlamento lavora. La
settimana prossima presenteremo i nostri disegni di legge, e avremo l’occasione,
a distanza di sei anni, di rispolverare la legge d’iniziativa popolare
‘Parlamento Pulito’, sottoscritta da 350 mila cittadini, per chiederne il voto
in aula. Finalmente,
i nostri ‘colleghi’ in Parlamento dovranno rendere conto ai cittadini che nel
2007 li chiamavano ad esprimersi su di una legge che prevedeva il ripristino
della preferenza. Vedremo se gli auspici e le promesse diffuse ai quattro venti
in campagna elettorale dai partiti troveranno riscontro nella votazione in
Parlamento, o se rimarranno solo parole. Proporremo
inoltre il reddito di cittadinanza, l’abolizione dell’Irap e altre iniziative
legislative direttamente in Parlamento. Il
nostro lavoro legislativo sarà complesso, sarà frutto di lavoro di squadra e
non iniziativa personale di ogni singolo parlamentare e ci porterà a proporre
una proposta organica e completa per ogni tema. Ma
sappiate che le proposte potranno essere esaminate solo se partiranno le
Commissioni permanenti. Se
davvero è urgente fare qualcosa per il Paese ci aspettiamo un’ampia
condivisione di tali istanze. ‘Presto’
e ‘subito’ paiono essere le parole d’ordine che ci accomunano tutti: e allora
sia, muoviamoci!