mercoledì 10 aprile 2013

Legge "salva Ilva": la Corte Costituzionale dà l'ok, ma non salva l'Ilva


Ilva Taranto - Archivio Fotografico Vito Stano
«Adesso non ci sono più scuse per nessuno. L'azienda deve correre, le amministrazioni locali devono essere impegnate, così come il Ministero. La strada è ormai segnata. La Consulta ha detto che lo è dal punto di vista costituzionale, io posso aggiungere che lo è dal punto di vista ambientale e industriale». Queste sono le parole a caldo con cui il ministro dell'Ambiente Corrado Clini ha commentando, ieri sera a Radio 24, la sentenza della Corte costituzionale relativa al caso Ilva di Taranto.

Questa decisione ha certamente fatto sprofondare i tarantini, che da circa otto mesi a oltranza lottano per la chiusura dello stabilimento, in uno stato di delusione e rabbia; dalle avanguardie della protesta tarantina arriva comunque un messaggio positivo: «nessuno scoraggiamento, vinceremo nonostante tutto», fanno sapere in un documento a firma congiunta il presidente Fondo Antidiossina Taranto Fabio Matacchiera e il presidente di PeaceLink Alessandro Marescotti, i quali hanno precisato «che la decisione della Corte Costituzionale di fatto non salva l'Ilva, perché non le presta i tre miliardi di euro per applicare efficacemente l'Autorizzazione Integrata Ambientale. Intanto il procedimento penale della Procura va comunque avanti per accertare tutte le responsabilità del disastro ambientale. Taranto si è ormai ribellata e non è più disposta a essere la città da sacrificare».

L'azienda nel frattempo in questi mesi sta attraversando uno stato di crisi non indifferente, gli operai sono preoccupati e questa decisione della Consulta è gravida di novità ad oggi sconosciute. Dunque nonostante il pronunciamento della Corte Costituzionale, che ha così trovato l'equilibrio tra i principi fondamentali della Costituzione (lavoro, salute, ambiente), le anime della rivolta tarantina, Marescotti e Matacchiera, non demordono, anzi prevedono che «l'Ilva chiuderà perché dovrà affrontare il problema immenso delle bonifiche dei terreni e della falda acquifera; dovrà attuare l'Aia e non ha presentato un piano industriale; dovrà affrontare le richieste di risarcimento di tanti cittadini; dovrà affrontare problemi enormi di mercato (concorrenza estera) e di accesso al credito. A nostro parere l'azienda non potrà reggere la pressione contemporanea di questi quattro fattori. Occorre preparare un'alternativa prima del collasso finale».

Intanto, mentre tutto è pronto per la domenica delle urne tarantine (il 14 aprile i residenti di Taranto andranno a votare per far conoscere al Paese che futuro immaginano per loro e per i loro figli), l'azienda ha reso noto sul suo sito internet che il giorno 9 si è verificato un altro incidente in fabbrica: per fortuna senza nessun ferito. Parafrasando un noto film di qualche anno fa con Massimo Troisi, si potrebbe dire che ai tarantini, e non solo, non resta che piangere. E sperare.

10.04.2013
Vito Stano

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