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Ilva Taranto - Archivio Fotografico Vito Stano |
«Adesso
non ci sono più scuse per nessuno. L'azienda deve correre, le amministrazioni
locali devono essere impegnate, così come il Ministero. La strada è ormai
segnata. La Consulta ha detto che lo è dal punto di vista costituzionale, io
posso aggiungere che lo è dal punto di vista ambientale e industriale». Queste
sono le parole a caldo con cui il ministro dell'Ambiente Corrado Clini ha
commentando, ieri sera a Radio 24, la sentenza della Corte costituzionale
relativa al caso Ilva di Taranto.
Questa
decisione ha certamente fatto sprofondare i tarantini, che da circa otto mesi a
oltranza lottano per la chiusura dello stabilimento, in uno stato di delusione
e rabbia; dalle avanguardie della protesta tarantina arriva comunque un
messaggio positivo: «nessuno scoraggiamento, vinceremo nonostante tutto», fanno
sapere in un documento a firma congiunta il presidente Fondo Antidiossina Taranto
Fabio Matacchiera e il presidente di PeaceLink Alessandro Marescotti, i quali
hanno precisato «che la decisione della Corte Costituzionale di fatto non salva
l'Ilva, perché non le presta i tre miliardi di euro per applicare efficacemente
l'Autorizzazione Integrata Ambientale. Intanto il procedimento penale della
Procura va comunque avanti per accertare tutte le responsabilità del disastro
ambientale. Taranto si è ormai ribellata e non è più disposta a essere la città
da sacrificare».
L'azienda
nel frattempo in questi mesi sta attraversando uno stato di crisi non
indifferente, gli operai sono preoccupati e questa decisione della Consulta è
gravida di novità ad oggi sconosciute. Dunque nonostante il pronunciamento
della Corte Costituzionale, che ha così trovato l'equilibrio tra i principi
fondamentali della Costituzione (lavoro, salute, ambiente), le anime della
rivolta tarantina, Marescotti e Matacchiera, non demordono, anzi prevedono che
«l'Ilva chiuderà perché dovrà affrontare il problema immenso delle bonifiche
dei terreni e della falda acquifera; dovrà attuare l'Aia e non ha presentato un
piano industriale; dovrà affrontare le richieste di risarcimento di tanti
cittadini; dovrà affrontare problemi enormi di mercato (concorrenza estera) e
di accesso al credito. A nostro parere l'azienda non potrà reggere la pressione
contemporanea di questi quattro fattori. Occorre preparare un'alternativa prima
del collasso finale».
Intanto,
mentre tutto è pronto per la domenica delle urne tarantine (il 14 aprile i residenti
di Taranto andranno a votare per far conoscere al Paese che futuro immaginano
per loro e per i loro figli), l'azienda ha reso noto sul suo sito internet che
il giorno 9 si è verificato un altro incidente in fabbrica: per fortuna senza
nessun ferito. Parafrasando un noto film di qualche anno fa con Massimo Troisi,
si potrebbe dire che ai tarantini, e non solo, non resta che piangere. E
sperare.
10.04.2013
Vito
Stano
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