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venerdì 24 maggio 2013

Dalla canzone al romanzo distopico: Daniele Di Maglie a Sammichele

Con la cultura non si mangia, concordo solo in parte: il momento di crisi economica nel quale siamo stati scaraventati ha prodotto come effetto collaterale il taglio dei finanziamenti a tutti quei settori ritenuti, a torto, 'di svago' o culturali in senso stretto, per concentrare magari le scarse risorse in attività immediatamente produttive. Dunque ammesso che di cultura non ci si riempie il ventre, è vero pure che senza cultura saremmo pari soltanto alla vacche (e mi scuseranno le povere bestie ruminanti). Questo assioma è vero nella misura in cui giovani e meno giovani nel periodo di crisi cosmica (per non ripetere la solita solfa...) decidono di fare qualcosa e quel qualcosa si chiama cultura:  incontri come quello in programma domani a Sammichele di Bari alle 19,00, durante il quale il giornalista ambientale Vito Stano (che sarei io) cercherà di comprendere le ragioni che spingono un cantautore in esilio dalla jonica Tares a scrivere canzoni, racconti e da ultimo anche un romanzo: 'La ballata dei raminghi adirati' (Grillo Editore).

L'autore (e cantautore), al secolo Daniele Di Maglie, tratteggia un mondo alla deriva tra realtà e paradosso: distopia, appunto. Quel che alcune centinaia di anni fa alcuni filosofi immaginarono di fare, oggi Di Maglie lo fa all'incontrario: immagina mondi irriconoscibili e indesiderati.

Questo incontro con l'autore, come le organizzatrici Irene Ciccarelli e Carmela Marinelli hanno precisato nella descrizione dell'evento, sono volti alla promozione e alla conoscenza del pensiero attraverso una tavola rotonda tra autori, relatori e lettori, per riscoprire insieme il bello della lettura. 

E se proprio la lettura e il confronto non sazieranno i voraci appetiti del pubblico, da un'indiscrezione pare che tutto finirà a tarallucci e vino. La cultura non si mangia, i taralli si.

23.05.2013
Vito Stano

lunedì 15 aprile 2013

Referendum città di Taranto: niente quorum per chiudere il siderurgico




...QUELLI che non hanno votato al referendum sulla chiusura dell'Ilva, ma che si lamentano che le condizioni sono critiche, e poi televotano all''Isola dei Famosi convinti di avere esercitato un proprio diritto... Oh Yeah...

di Vink De Palmis

mercoledì 10 aprile 2013

Legge "salva Ilva": la Corte Costituzionale dà l'ok, ma non salva l'Ilva


Ilva Taranto - Archivio Fotografico Vito Stano
«Adesso non ci sono più scuse per nessuno. L'azienda deve correre, le amministrazioni locali devono essere impegnate, così come il Ministero. La strada è ormai segnata. La Consulta ha detto che lo è dal punto di vista costituzionale, io posso aggiungere che lo è dal punto di vista ambientale e industriale». Queste sono le parole a caldo con cui il ministro dell'Ambiente Corrado Clini ha commentando, ieri sera a Radio 24, la sentenza della Corte costituzionale relativa al caso Ilva di Taranto.

Questa decisione ha certamente fatto sprofondare i tarantini, che da circa otto mesi a oltranza lottano per la chiusura dello stabilimento, in uno stato di delusione e rabbia; dalle avanguardie della protesta tarantina arriva comunque un messaggio positivo: «nessuno scoraggiamento, vinceremo nonostante tutto», fanno sapere in un documento a firma congiunta il presidente Fondo Antidiossina Taranto Fabio Matacchiera e il presidente di PeaceLink Alessandro Marescotti, i quali hanno precisato «che la decisione della Corte Costituzionale di fatto non salva l'Ilva, perché non le presta i tre miliardi di euro per applicare efficacemente l'Autorizzazione Integrata Ambientale. Intanto il procedimento penale della Procura va comunque avanti per accertare tutte le responsabilità del disastro ambientale. Taranto si è ormai ribellata e non è più disposta a essere la città da sacrificare».

L'azienda nel frattempo in questi mesi sta attraversando uno stato di crisi non indifferente, gli operai sono preoccupati e questa decisione della Consulta è gravida di novità ad oggi sconosciute. Dunque nonostante il pronunciamento della Corte Costituzionale, che ha così trovato l'equilibrio tra i principi fondamentali della Costituzione (lavoro, salute, ambiente), le anime della rivolta tarantina, Marescotti e Matacchiera, non demordono, anzi prevedono che «l'Ilva chiuderà perché dovrà affrontare il problema immenso delle bonifiche dei terreni e della falda acquifera; dovrà attuare l'Aia e non ha presentato un piano industriale; dovrà affrontare le richieste di risarcimento di tanti cittadini; dovrà affrontare problemi enormi di mercato (concorrenza estera) e di accesso al credito. A nostro parere l'azienda non potrà reggere la pressione contemporanea di questi quattro fattori. Occorre preparare un'alternativa prima del collasso finale».

Intanto, mentre tutto è pronto per la domenica delle urne tarantine (il 14 aprile i residenti di Taranto andranno a votare per far conoscere al Paese che futuro immaginano per loro e per i loro figli), l'azienda ha reso noto sul suo sito internet che il giorno 9 si è verificato un altro incidente in fabbrica: per fortuna senza nessun ferito. Parafrasando un noto film di qualche anno fa con Massimo Troisi, si potrebbe dire che ai tarantini, e non solo, non resta che piangere. E sperare.

10.04.2013
Vito Stano

martedì 9 aprile 2013

Taranto: il mostro deve morire. Reportage dalla città in pacifica rivolta

Taranto non molla: il 9 aprile la Corte Costituzionale si pronuncerà sulla legge "Salva Ilva". La città e i suoi abitanti in migliaia non smettono di credere che il cambiamento è possibile. La sostenibilità ambientale e sanitaria è la meta ambita da donne e bambini, da operai e medici. 


Il corteo di domenica 7 aprile è bianco: i camici bianchi hanno aperto il corteo che un'auto elettrica, attrezzata dagli attivisti di Peacelink, ha trasmesso on web in diretta la manifestazione. Nessun rappresentante politico fuorché il segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista Paolo Ferrero. Sono numerose le espressioni creative per dire «no al mostro» che toglie il futuro ai figli di Taranto condannando la città jonica allo spopolamento per decessi ed emigrazione: pecorelle folk a ricordare la scomparsa della pratica dell'allevamento e della pastorizia a causa della presenza della diossina e altri inquinanti. Taranto non è sola: da Brindisi come dalla provincia di Bari il sentimento è condiviso, perché, come afferma il presidente di Peacelink Alessandro Marescotti, «la battaglia di Taranto è la battaglia di tutto il Paesese perde Taranto perdiamo tutti».

08.04.2013
Vito Stano

lunedì 8 aprile 2013

Hippoezio: «nel termine manifestazione c'è la desinenza finale azione...»

Hippoezio: «nel termine manifestazione c'è la desinenza finale azione... e questo non fa per me!»
di Vink De Palmis  




- Ippazio pilato NON si schiera... e intanto l'avanzata dell'Ilva non si ferma



Taranto non molla: domani Corte Costituzionale sulla legge "Salva Ilva"

Taranto non molla. La città e i suoi abitanti in migliaia non smettono di credere che il cambiamento è possibile. La sostenibilità ambientale e sanitaria è la meta ambita da donne e bambini, da operai e medici. Il corteo di domenica 7 aprile è bianco: i camici bianchi hanno aperto il corteo che un'auto elettrica, attrezzata dagli attivisti di Peacelinkha trasmesso on web in diretta la manifestazione. Nessun rappresentante politico fuorché il segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista Paolo Ferrero. Numerose espressioni creative per dire «no al mostro» che toglie il futuro ai figli di Taranto, condannando la città jonica allo spopolamento per decessi ed emigrazione. (08.04.2013 - Vito Stano)















Foto Archivio Vito Stano © 2013

martedì 18 dicembre 2012

«C’è un meschino disegno, ovvero tenerci le fabbriche inquinanti e difenderle in quanto unica fonte di reddito»: parla Cataldo Ranieri, operaio tarantino dell'Ilva


La spaccatura nel mondo del lavoro è profonda: da una parte coloro che sono scesi in piazza con la gente a gridare le ragioni di una città intera e dall’altra coloro che, forse perché subiscono in maniera forte il ricatto del lavoro oppure perché neanche sfiorati dai problemi della città e dei suoi abitanti, magari perché abitano altrove. Il 26 luglio è stato sicuramente il momento della frattura con la rappresentanza sindacale, difatti la manifestazione del 15 dicembre ha registrato l’assenza del mondo sindacale, che, come precisa Cataldo Ranieri, operaio dell’Ilva incontrato durante la lunga marcia per le vie della città jonica, «hanno fatto bene a non venire, perché probabilmente sarebbero stati cacciati dagli stessi lavoratori».

a cura di Vito Stano

Da destra: Cataldo Ranieri - Foto Vincenzo De Palmis
Spicca la scarsa presenza delle sigle che rappresentano il mondo operaio, com’è possibile?
No, invece ci sono molti lavoratori dell’Ilva, io li ho visti. I sindacati invece hanno fatto bene a non venire, perché probabilmente sarebbero stati cacciati dagli stessi lavoratori, così come in occasione dell’ultimo sciopero organizzato dai sindacati non sono venuti davanti alle portinerie non so perché; evidentemente sanno di aver perso anzi, non hanno perso niente, dato che si può perdere soltanto ciò che si ha e  loro i lavoratori non li hanno mai effettivamente rappresentati. I malati e i morti non vanno a lavorare, in questa nazione che vanta di avere un governo civile è stato scelto di lasciarci nella nostra disperazione, nella nostra divisione, ovvero di dover scegliere tra salute e lavoro e questa è una vergogna per qualsiasi stato civile. Pensavamo che si sarebbe risolta la situazione, che ci avrebbe consentito di non litigare più tra fratelli.

È ancora possibile secondo te risolvere questo dilemma?
Noi crediamo che se vogliono davvero continuare a fare l’acciaio a Taranto è bene che escano le risorse, perché in tanti paesi l’acciaio si produce e non uccide nessuno. A Taranto evidentemente le vite valgono di meno dei profitti e quindi non si investono le risorse che ci vogliono per mettere a norma la fabbrica. Noi abbiamo capito che intenzioni vere non ce ne sono, hanno intenzione di recuperare i crediti che le banche vantano nei confronti dell’Ilva ed è solo per questo che, a nostro avviso, viene concesso altro tempo: non per salvare il lavoro, non per salvare le vite, ma per salvare il profitto.

Quindi si fa solo l’interesse dell’azienda?
Questa fabbrica ha un’esposizione di 2 miliardi e settecento milioni di euro nei confronti delle banche, che non intendono perdere e se pensiamo che attualmente il governo è composto da ex finanzieri delle stesse banche che vantano crediti dall’Ilva… Il cerchio si chiude nel momento in cui noi lavoratori dell’Ilva non abbiamo più un finanziamento neanche di mille euro, perché quelle stesse banche, che dovrebbero prestarci i soldi, sanno che sarebbero finanziamenti a fondo perduto, che non rientreranno, perché una volta risanato il debito, che Ilva ha nei confronti delle banche, non credo che Riva, qualora fosse condannato, farà il suo dovere, cioè bonificare il territorio e ambientalizzare gli impianti. Una persona sana di mente non può pensare questo.

Quindi per cosa lottate voi lavoratori?
Qui ci sono i lavoratori coerenti con quello che si è sempre detto, noi soltanto nell’era Riva abbiamo perso 46 colleghi morti sul lavoro e altre centinaia che si sono ammalati per fare l’acciaio. Noi non siamo più disposti ad accettare, questa città vuole i diritti che le sono stati negati. Non se ne può riappropriare perché non li ha mai avuti. Taranto vuole la salute, vuole il lavoro, vuole l’ambiente, vuole la cultura; questa città ha avuto negli anni soltanto disoccupazione: il 40% di disoccupati nella terza città più industrializzata del mezzogiorno è inconcepibile. Abbiamo capito che c’è un meschino disegno, ovvero tenerci le fabbriche inquinanti e difenderle in quanto unica fonte di reddito, pur avendo una città che offre risorse importanti non ci sono alternative.

Un disegno, spiegati meglio.
C’è qualcuno che dice che ci dobbiamo tenere solo questo, perché il 70% del traffico marittimo di Taranto è controllato dalle navi dei veleni, è controllato da Riva; per cui chiunque si avvicina con l’intento di valorizzare questo porto, che è l’unico affaccio sul Canale di Suez e quindi farebbe gola a molti imprenditori, non può far niente, perché ci dobbiamo quello che abbiamo, ci dobbiamo tenere i veleni.   

lunedì 17 dicembre 2012

«Il futuro di Taranto deve diventare di nuovo la pesca e l’allevamento, per fare questo bisogna assolutamente smettere di inquinare il territorio»: parla Vincenzo Fornaro, allevatore tarantino


«La punta dell'iceberg del disastro da diossina provocato dal centro siderurgico più grande d'Europa è la masseria di Angelo Fornaro e figli, Vincenzo e Vittorio, in contrada Carmine. Una masseria dell'Ottocento in un posto bellissimo, dove l'estate dura quattro mesi e la primavera sei. E dove le pecore sono felici, perché l'erba è verde e abbondante. Ma quelle pecore, 500, l'intero allevamento dei Fornaro, sono contaminate e verranno abbattute». Così scriveva all’epoca dei fatti, il 10 ottobre del 2008, il giornalista Carlo Vulpio sul Corriere della Sera. Una storia amara, che oggi, e dopo il 26 luglio in particolare, è stata assurta a simbolo di una tragedia non dimenticata, ma occultata.
La regione Puglia con delibera di giunta ordinò l’abbattimento di 1.200 animali, colpevoli d’aver brucato erba alla diossina. Quella diossina che è presente nell'aria di Taranto tre volte in più rispetto a quanta ne sprigionò la nube tossica di Seveso nel 1976, perché la diossina si accumula.
«L'acciaieria l'ho vista nascere - disse Vincenzo Fornaro a Carlo Vulpio -, ero un ragazzino. Ci portò via cento ettari di terra, oliveti e vigneti, e la odiai subito. Ma oggi la odio con tutte le mie forze perché ha avvelenato la mia terra, i miei animali, la mia anima».
La manifestazione di sabato è stata l’occasione per incontrare Vincenzo Fornaro e fargli alcune domande.

a cura di Vito Stano

Da sinistra: Vincenzo Fornaro - Foto Vincenzo De Pamis
La città di Taranto può guardare al futuro puntando all’allevamento e alla pesca?
Il futuro di Taranto deve diventare di nuovo la pesca e l’allevamento, per fare questo bisogna assolutamente smettere di inquinare il territorio. Quindi prima di avviare le bonifiche, di cui in questi giorni tanto si parla, occorre far chiudere tutte le fonti inquinanti, altrimenti non avrebbe senso, sarebbe un ennesimo spreco di soldi pubblici.

Dunque cosa fare?
La magistratura sta agendo nel migliore dei modi, purtroppo non si può dire altrettanto del governo; dall’inizio di questa storia la classe politica, dal livello locale ai palazzi romani, è stata completamente assente e adesso che è intervenuta sta facendo solo danni. Il ministro dell’Ambiente Clini non ha speso una parola per chi è stato danneggiato.

Adesso che lavoro fa?
Pensi che da l’azienda di famiglia, con sessanta ettari di terreno, è completamente inutilizzata perché c’è il divieto di pascolo nel raggio di venti chilometri; oggi non avrebbe senso rimettere altri animali da pascolo perché si contaminerebbero e sarebbero abbattuti.

E quindi da dove traete reddito?
Andiamo a fare giornate lavorative presso altre aziende agricole. Siamo passati dall’essere imprenditori e offrire noi reddito ad altre famiglie, a doverci cercare a nostra volta una fonte di reddito.

I vostri diritti sono stati repressi per difendere quelli dei lavoratori della fabbrica, che ne pensa?
Parlano di diritto all’impresa, anche noi avevamo il diritto all’impresa, che è stato completamente calpestato. Davamo lavoro a quindici persone, che, da quattro anni come noi, cercano di tirare avanti facendo altri lavori. Non capisco perché si deve privilegiare un’unica classe lavorativa a discapito delle altre.  

«L’Ilva così com’è non può continuare a inquinarci»: Alessandro Marescotti parla a margine della manifestazione di sabato


I movimenti pro-salute e pro-ambiente di Taranto negli ultimi mesi si sono fatti sentire come non mai. Tra questi Peacelink e il suo presidente Alessandro Marescotti, noto da tempo per le sue battaglie (finito anche, come si legge sul suo diario di facebook.com, nelle intercettazioni telefoniche tra il faccendiere Archinà, il quale, conversando con uno dei tantissimi suoi interlocutori, prende doverosamente atto che «nonostante l'intento dell'Ilva sia osteggiare e sconfessare gli ambientalisti, Marescotti e Matacchiera in testa, non si può non convenire che «gli ambientalisti non è che le cose se le inventano»). 
Marescotti dal 2005 ha iniziato ad occuparsi dell'inquinamento da diossina della mia città di Taranto e con i suoi studenti ha proposto nel 2011 un legge per la certificazione degli alimenti dioxin free (http://www.ilfattoquotidiano.it/blog/amarescotti/). Lo abbiamo intervistato a margine della manifestazione di sabato 15 dicembre.

a cura di Vito Stano

Alessandro Marescotti - Foto Archivio Vito Stano
Il decreto legge del governo Monti invade i poteri della magistratura, la Costituzione è rispettata o no?
Questa è una manifestazione che ha un rilievo nazionale, perché è la bocciatura popolare del decreto legge anticostituzionale che sottrae alla magistratura i propri compiti specifici, che sono quelli di poter sequestrare impianti pericolosi. Il decreto legge che invade la sfera d’azione della magistratura e dà al governo e al parlamento poteri che sconfinano in una vera e propria manipolazione della Costituzione, questo decreto è chiaramente bocciato dalla gente. Noi a Taranto ci sentiamo accerchiati da un potere politico che vuole continuare a far inquinare degli impianti considerati pericolosi dalla magistratura.

Finalmente la gente è scesa per le strade.
Quello di oggi non è l’unico corteo, è l’ultimo di tanti cortei: per citare un esempio, c’è stata in passato una grande fiaccolata a cui hanno partecipato 10mila persone.

Cosa vi aspettate dalla magistratura? E quale sostegno pensate di poter dare?
C’è da aspettarsi una forte reazione dignitosa e non violenta della città; il nostro è e sarà un sostegno alla magistratura a cui noi chiediamo cha vada avanti e che un’azienda di questo tipo (Ilva, ndr), che continua ad inquinare e cha ha inquinato in passato con la complicità di una rete di politici, non continui più la sua attività.

L’Ilva deve chiudere?
L’Ilva così com’è non può continuare a inquinarci e anche l’Aia (l’autorizzazione rilasciata dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini, ndr) non è idonea: il caso macroscopico è che vengono dati trentasei mesi per coprire i parchi minerali. Recentemente è passato un tornado e ha sfiorato i parchi minerali, se fosse passato sui parchi minerali tutti questi palazzi che abbiamo intorno sarebbero neri e non sappiamo come starebbero i nostri polmoni.

«Quanto vale una tonnellata di acciaio prodotto a Taranto in termini di vite umane?»: parla Angelo Bonelli presidente nazionale dei Verdi


Il decreto “Salva Taranto” imposto dal governo per soverchiare l’azione della magistratura tarantina non è passato sotto silenzio e la manifestazione del 15 dicembre ha dimostrato che la città è stanca di subire: dai veleni della fabbrica, all’imposizione della politica la gente è scesa per strada quasi in 30mila per gridare le ragioni della vita e ribaltare la prospettiva ordinata dai palazzi del potere. La partecipazione è stata popolare e trasversale: la presenza dei politici è stata praticamente nulla, tranne alcuni volti noti ai tarantini e non solo. Angelo Bonelli, presidente nazionale dei Verdi e consigliere comunale a Taranto, è stato tra la gente di Taranto, anche tra coloro che non hanno creduto nella sua candidatura a sindaco della città, ma che a fronte dell’impegno profuso oggi ne dimostrano la stima. Gli abbiamo rivolto alcune domande a margine della manifestazione.

a cura di Vito Stano

Angelo Bonelli - Foto Archivio Vito Stano
Dopo il decreto “Salva Taranto” cosa hanno fatto i Verdi e cosa intendono fare?
Noi da sempre siamo qua, penso che siamo gli unici che, con grande coerenza e in tempi non sospetti, stiamo sostenendo questa battaglia per la legalità e per il diritto alla vita. Quello che è accaduto con questo decreto è qualcosa di inaccettabile dal punto di vista della nostra democrazia, perché qui a Taranto per decreto si sospende la legge, si calpesta la Costituzione e si sospende il diritto alla vita. È un fatto gravissimo, noi abbiamo già presentato un ricorso presso la Corte dei diritti dell’uomo e alla Commissione Europea, perché questo non può accadere: la sospensione della legge, come a Taranto, è qualcosa che accade solo nei regimi autoritari dove il monarca sospende le libertà e i diritti fondamentali di una persona.

Quindi siete a fianco della magistratura.
Questa mobilitazione è importante, perché la magistratura non va lasciata da sola, va sostenuta e va assolutamente respinto questo tentativo diabolico che, anche a livello nazionale, stanno facendo a partire dal governo di contrapporre salute e lavoratori. Ed è importante che qui oggi ci siano anche tanti lavoratori, che hanno capito che prima di tutto c’è la salute, ma c’è anche il diritto di un lavoro pulito; quindi il lavoro essenzialmente non deve mettere l’operaio nella condizione di mettere a rischio la propria salute, ma anche la salute dei propri cari e dei propri concittadini.

Dunque cosa proponete?      
Noi abbiamo proposto una serie di alternative. Le alterative di una conversione industriale di quest’area, dichiarare Taranto area no tax, sequestrare e confiscare i beni della famiglia Riva e utilizzarli per fare le bonifiche, impiegare i lavoratori per fare le bonifiche e con un’area no tax rilanciare un’economia diversa, che non sia basata sulla diossina e sulla morte.

Su queste proposte avete trovato alleati a livello politico?
Nella città si, ma nel governo no.

E a livello nazionale?
No, non abbiamo trovato alleanze; anche perché il governo si è speso per riaprire l’Ilva. 

E all’opposizione?
No, assolutamente no; anche da parte di quegli ecologisti che si trovano in Parlamento eletti nelle file del Partito Democratico non c’è un atteggiamento favorevole. Sono tutti attenti a dimostrare quanto sono più realisti del re. Invece bisognerebbe mettersi in gioco e dire che questa battaglia di Taranto è una battaglia per la democrazia e anche una battaglia per un diverso modello di sviluppo. Uno sviluppo che non può essere fatto in modo tale che più inquini, più hai lavoro. No, questo non va bene, altrimenti la domanda drammatica che sorge spontanea è quanto vale una tonnellata di acciaio prodotto a Taranto in termini di vite umane? 

«Taranto libera»: in 30mila percorrono le vie della città jonica

Taranto libera 2012 - Foto Archivio Vito Stano
Il decreto Salva Ilva, con cui il governo Monti ha inteso superare a destra l'ordinanza di sequestro emessa dalla magistratura tarantina, ha causato l'indignazione e la mobilitazione di quasi 30mila persone, che hanno sfilato per le vie di Taranto sabato 15 dicembre per confluire in una piazza del centro cittadino per ascoltare il contributo degli artisti tarantini. Alla manifestazione hanno partecipato anche delegazioni di altre città e di movimenti come i No Tav che difendono al Val di Susa dalla costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione. Tante le donne e i bambini presenti. Ad aprire il corteo c'erano proprio i piccoli cittadini di Taranto accompagnati dai genitori

Nel lungo serpentone umano abbiamo incontrato anche alcuni personaggi noti del mondo della politica (Angelo Bonelli, consigliere comunale di Taranto e presidente nazionale dei Verdi), dei comitati ambientalisti (Alessandro Marescotti, storico ambientalista tarantino), alcuni operai Ilva dissidenti (Cataldo Ranieri, operaio Ilva, tra i dipendenti del siderurgico più attivi) e alcuni imprenditori agricoli (Vincenzo Fornari, allevatore tarantino al quale furono abbattuti 1.600 esemplari tra pecore e capre, bestie colpevoli di aver brucato in terreni contaminati dalla diossina emessa dall'Ilva). Degli amministratori locali, provinciali e regionali neanche l'ombra s'è vista, qualcuno vociferava che il sindaco di Taranto Ippazio Stèfano avrebbe voluto partecipare alla manifestazione, ma evidentemente il disappunto della gente comune è approdato all'orecchio, scegliendo di restare a casa. 


«Taranto libera» è stato lo slogan scandito durante la lunga camminata: libertà, s'intende, non solo dai veleni ma anche dalle ipocrisie di coloro che, macchiatisi di responsabilità nel recente passato, oggi cerca di cavalcare l'onda della protesta. Mamme e bambini disegneranno il nuovo futuro di Taranto assieme alle donne e agli uomini che rappresentano il potere giudiziario italiano e tarantino in particolare, visto che della classe politica (tranne alcuni elementi ben individuati) i tarantini non possono più fidarsi.

17.12.2012
Vito Stano

martedì 4 dicembre 2012

Decreto salva Ilva firmato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il ministro dell'Ambiente Corrado Clini esprime soddisfazione


Ciminiere convertitore reparto acciaierie Ilva Taranto
Foto Vincenzo De Palmis
Dopo la firma del decreto Salva Taranto da parte del Presidente Napolitano si rafforzano le norme per imporre il risanamento ambientale alle industrie più inquinanti, estendendo il modello Ilva a tutti i casi di emergenza ecologica e sanitaria. Lo prevede la stesura finale del decreto salva-Taranto firmato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. 

«Ringrazio il presidente Napolitano per la grande attenzione con cui ha valutato e quindi firmato il decreto salva-Taranto: così il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, commenta il via libera del presidente».

Nella stesura finale, il testo estende a tutte le imprese di interesse strategico nazionale con più di 200 addetti, gli impegni al disinquinamento compresi il ricorso a sanzioni (fino al 10% del fatturato) e l’adozione di provvedimenti di amministrazione straordinaria in caso di inadempienza, e «rappresenta - osserva il ministro - non solo una risposta responsabile all'emergenza innescata dalla situazione dell’Ilva, ma indica una via replicabile in analoghi casi ove si ravvisino gravi violazioni ambientali e condizioni di pericolo per la salute pubblica. Il decreto ora rafforza il ruolo dell’autorizzazione integrata ambientale e dei piani di risanamento delle grandi industrie, a cominciare dall’acciaieria Ilva di Taranto».

Intanto a Taranto i cittadini contrari al dissequestro degli impianti e favorevoli alla definitiva chiusa dell'acciaieria rendono noto che «a meno di dodici ore dall’emanazione del decreto i legali dell'Ilva hanno depositato alla Procura di Taranto una istanza con la quale chiedono l’esecuzione di quanto contenuto nel decreto legge firmato dal presidente della Repubblica ed entrato in vigore ieri, consentendo così all’azienda di rientrare in possesso degli impianti sequestrati».

Pertanto «è urgente - fanno sapere i cittadini tarantini organizzati in comitati e associazioni - che domani partecipiamo tutti al sit-in davanti alla prefettura dalle ore 10,00 alle ore 17,00», per dimostrare ancora una volta la contrarietà della città, almeno di una parte sempre più consistente, a immaginare un futuro di acciaio e malattie.

04.12.2012
Vito Stano

venerdì 23 novembre 2012

"Non può una città essere monopolizzata dalla produzione dell’acciaio, anche perché credo che ogni città, ogni territorio deve produrre in base alle proprie caratteristiche naturali. Taranto di naturale ha il mare": parla Vincenzo De Palmis, attivista di Taranto Respira


Il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola è stato nominato dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini commissario alla bonifica dell'area di Taranto. Questa notizia non è stata presa bene da molti attivisti, che già sui social network hanno commentato aspramente la decisione, esprimendo rammarico e sdegno “per colui (Vendola,ndr) il quale ha detto tutto e il contrario di tutto e che inaugurò all'ombra del camino E 312 l'impianto Urea mano nella mano con la Prestigiacomo” (gruppo Aria pulita per Taranto). Questa decisione è stata accompagnata, a livello temporale, dalla decisione della Procura di Taranto, che ha espresso parere negativo sull’istanza di dissequestro avanzata dall’Ilva per gli impianti dell’area a caldo, sottoposti ai sigilli da luglio. Su questo punto il giudice delle indagini preliminari Patrizia Todisco dovrà esprimersi definitivamente forse in settimana. Intanto il viaggio tra i protagonisti della città jonica continua con l’intervista a Vincenzo De Palmis, tecnico del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Taranto; De Palmis si occupa in particolare di monitoraggio in ambito marino-costiero.

A cura di Vito Stano

Vincenzo De Palmis - Foto Archivio Vito Stano
Fai parte di un’associazione ambientalista? Faccio parte di un’associazione ambientalista che si chiama “Taranto Respira”, ma da sempre mi occupo di ambiente per passione, avendo tra l’altro svolto in passato attività di speleologo ed essendo stato membro del Soccorso alpino; quindi sono molto legato agli ambienti naturali.  Una settimana fa all’incirca è stato deciso lo sblocco di una delle navi ferme nel porto a causa del fermo giudiziario ed è stata autorizzata a scaricare il minerale che portava e quindi praticamente a rinnovare il ciclo produttivo, continuando a venir meno alla decisione dei giudici della Procura di Taranto, i quali avevano sequestrato l’area a caldo. Il mondo ambientalista tarantino come sta reagendo alle novità che giorno dopo giorno arricchiscono e confondono il quadro secondo te? Ci sono vari stati di umore, se così possiamo dire. Da una parte c’è una sorta di entusiasmo iniziale che ripone nella magistratura la speranza che si possa giungere finalmente alla chiusura e nello stesso tempo un certo sconforto quando si apprendono quelle decisioni, come l’ultima, che seppur trattandosi di una semplice deroga permette lo sbarco delle materie prime, credo si tratti di materiali ferrosi atti alla fabbricazione dell’acciaio, e quindi la riattivazione del ciclo produttivo soprattutto dell’area a caldo. Quindi c’è questo dualismo: una sorta di fiducia incondizionata nell’operato della magistratura e sconforto per la deroga alla produzione decisa dalla stessa, perché la nostra aspirazione, il nostro desiderio è quello di vedere questa fabbrica chiudere i battenti e che Taranto possa andare oltre la monocultura dell’acciaio e la monocultura della diossina. Qual è il disegno che avete in mente? Il discorso è molto semplice, alcuni dicono che si tratta di un disegno utopistico: a mio avviso è così utopistico, cioè così avanti, da poter essere realizzato. Innanzitutto facciamo una piccola distinzione, la chiusura che tutti auspicano è quella dell’area a caldo, è chiaro che senza l’area a caldo l’area cosiddetta a freddo (laminatori, tubifici, eccetera) difficilmente potrà avere un futuro, perché il tutto dipende dalla grossa produzione dell’area a caldo. Per quel che riguarda la produzione a freddo, ci sono altri stabilimenti tra cui Genova, che possono tranquillamente lavorare a freddo. Tanto è vero che l’area a caldo di Taranto esporta a Genova i prodotti già fusi, già finiti insomma: a Genova si produce a freddo quello che a Taranto si produce a caldo. Il quinto altoforno serve proprio per le esigenze dello stabilimenti genovese.

L’altoforno cinque è quello che si vuole spegnere? Esattamente. Quindi qual è il vostro progetto? Il progetto è molto semplice, esiste ormai un diffuso inquinamento che investe le falde, il mare, investe l’atmosfera. Questi elementi naturali dovranno essere bonificati, a bonificare potranno essere gli stessi operai che attualmente lavorano nello stabilimento, ovviamente dovranno essere formati. Questa attività non produttiva la si rende produttiva attraverso l’applicazione di una semplice regola, che è una legge: chi ha inquinato deve pagare. In questo caso i soggetti sono due: uno è lo Stato, allorquando deteneva l’Italsider, e l’altro soggetto è il gruppo Riva. Chi ha inquinato paga e con i risarcimenti saranno messe in moto queste gigantesche operazioni di bonifica e a lavorare saranno gli stessi operai che attualmente lavorano all’Ilva. Questo è il nostro progetto. Quanto potrebbe durare la bonifica? Le stime parlano di un minimo di vent’anni. Quindi si darebbe lavoro per vent’anni, se non di più, alle maestranze che lavorano all’Ilva. Non parliamo di opere di ambientalizzazione degli impianti, cioè rendere gli impianti ecocompatibili, ma di mettere in atto una imponente opera di bonifica dell’intera città. Ho ben capito? Esattamente, parliamo di tutto il territorio. Ricordiamoci che al rione Tamburi vige un divieto di accesso in aree non pavimentate, pertanto i bambini non possono giocare in quei terreni perché sono contaminati da sostanze altamente tossico-nocive. A questo proposito c’è una ordinanza del Sindaco di Taranto che vieta l’accesso alle aree non pavimentate, cioè ai giardini pubblici perché nel terreno sono stati riscontrati valori altissimi di inquinamento. Dunque il progetto si dipana su una linea che prevede risarcimenti, bonifiche, lavoro. D’altronde Porto Marghera ha ricevuto ben 5 miliardi di euro per le opere di bonifica, 3 miliardi da privato e 2 miliardi dallo Stato. Partendo dal principio che una ecocompatibilità non potrà mai esserci, semplicemente perché questa fabbrica è stata costruita all’interno di Taranto cioè tra la città e il borgo di Statte (divenuto poi Comune autonomo, ndr), si può benissimo dire che questa gigantesca industria, la più grande industria siderurgica d’Europa, è stata costruita dentro la città di Taranto. A proposito ci sono delle leggi europee che vietano la costruzione delle cokerie  a meno di mille e settecento metri dalle abitazioni; questa distanza ovviamente a Taranto non è stata rispettata. In soldoni questa fabbrica non potrà mai essere ecocompatibile con una città che conta circa 220mila abitanti, città che in virtù di questa tipologia di fabbrica che prevede un ciclo integrato, praticamente la materia prima arriva, viene sciolta e poi trasformata, e quindi viene impiegata moltissima energia che a sua volta viene prodotta anche dalle centrali elettriche che funzionano ad olio combustibile.

Queste fabbriche di energia sono presenti a Taranto? Queste centrali sono presenti nell’area industriale. Area industriale che annovera al suo interno delle discariche per smaltire i rifiuti che lì vengono prodotti. Ci sono le cokerie che trasformano il carbon-fossile in carbon-coke. È vero che ci sono dei depolverizzatori che abbattono la quantità di polvere emessa nell’atmosfera, però non si può assolutamente concepire un impianto che brucia e che tra l’altro possiede un parco minerali a cielo aperto grande 74 ettari, pari a 94 campi di calcio a undici. È chiaro che queste sostanze con il vento si disperdono e quindi vengono inalate dagli abitanti di questa città che è attaccata alla città anzi, è l’industria che è attaccata alla città, in quanto gli stabilimenti dell’allora Italsidere furono edificati vicino al quartiere Tamburi e non il contrario, come sostiene erroneamente il ministro dell’Ambiente Corrado Clini alimentando un falso storico. Questo è il progetto alternativo che voi serbate per Taranto, ma avete credito presso le istituzioni? E poi c’è un dialogo aperto con gli altri protagonisti della vicenda? Innanzitutto il primo a parlare in termini di risarcimento e poi di bonifica, che per inciso non si può fare se la fonte inquinante continua ad inquinare, è stato Angelo Bonelli, presidente nazionale dei Verdi, che si è presentato alle ultima elezioni amministrative a Taranto come candidato sindaco. A questo proposito ricordo che Bonelli ha preso ben 12mila voti e abbiamo fatto (Vincenzo De Palmis era candidato nella lista che sosteneva Bonelli, ndr) una campagna elettorale all’insegna dell’economia, spendendo pochissimo. Ciò nonostante 12mila persone hanno votato per questo estraneo, che ha scontato la mancanza di fiducia dei tarantini più conservatori, premiando così le solite forze politiche al governo della città per la seconda volta consecutiva, che secondo me sono assolutamente incapaci di fronteggiare quelle che sono le difficoltà non solo ambientali ma anche sanitarie. Adesso stiamo notando una sorta di conversione, cioè tanti partiti politici adesso parlano di bonifiche riempiendosi la bocca. In definitiva non ci voleva Bonelli per parlare di bonifica, lui ha aperto un discorso e ha tracciato una linea semplice e chiara, adesso molti partiti hanno fatto propria questa intuizione e anche oro ne parlano.

Con i sindacati invece, qual è il rapporto? I sindacati hanno sempre difeso il diritto del lavoro, senza pensare che anche la salute fosse un diritto paritetico. Tra l’altro se non c’è la salute non vedo come si possa parlare di lavoro; anche perché i primi ad ammalarsi, checché ne dicano i sindacati o meglio la vecchia concezione del sindacato, sono stati proprio i lavoratori dell’Ilva: è avvenuto in questi anni un vero e proprio sterminio di lavoratori che una volta smessa la tuta da lavoro si sono poi trovati a fare i conti con malattie gravissime. Quindi il sindacato che si batte per il lavoro non ha molto senso, è una logica un pò perversa. Difendere il diritto al lavoro senza difendere il diritto alla salute non ha alcun senso. Una città, una comunità deve reggersi su un insieme di diritti, primo su tutti quello della salute, che non è mai stata presa in considerazione dal sindacato. Adesso vedo una certa tendenza ad invertire  concetti. Questo non può che farmi piacere, però io credo che il sindacato deve fare uno sforzo in più: deve veramente schierarsi dalla parte del lavoratore e non dalla parte del padrone prima di tutto. E secondo deve comprendere che una fabbrica non è costruita per produrre in eterno; una fabbrica viene costruita per dare posti di lavoro che a sua volta deve garantire il diritto affinché lo stesso lavoratore non si debba poi ammalare. Dopo le evoluzioni di questi ultimi mesi avete avuto modo di confrontarvi direttamente con i lavoratori? Credo che la sensibilizzazione stia aumentando anche tra i lavoratori, i quali stanno comprendendo non possono mirare soltanto al mantenimento del posto di lavoro, ma stanno comprendendo che va salvaguardata la loro integrità e non mi riferisco solo alle malattie ma anche ai tanti e tanti infortuni che avvengono nella fabbrica, da ultimo quello in cui è morto un ragazzo di ventinove anni, Claudio Marsella. Quindi molti lavoratori hanno fatto probabilmente una giusta riflessione, anche perché molti di loro sono padri di famiglia e hanno figli e per nessuna ragione al mondo vorrebbero vedere i loro figli ammalati dal prodotto del loro lavoro. Esistono quelle frange che continuano a raccontare durante le interviste che preferiscono morire di cancro piuttosto che morire di fame; questo concetto lo ritengo stupido e offensivo, perché offende l’intelligenza dell’esser umano. Tutto ciò è inconcepibile anche perché Taranto è una città straordinaria, è una città ricchissima di risorse maturali, che se ben gestite può offrire tanto.

Cosa offrirebbe Taranto secondo te ai lavoratori attualmente impiegati nella fabbrica? Penso ai due mari di Taranto e in particolare al mar Piccolo che oggi è un ecosistema inquinato in cui si sono persi moltissimi posti di lavoro nella mitilicoltura. Questa situazione se paragonata alla città di Vigo, in Spagna nella regione della Galizia, dove nelle attività di itticoltura e mitilicoltura sono impiegate ben 20mila persone, quindi molto di più di quello che garantisce oggi l’Ilva, che sono 11mila 792 lavoratori. Di cui solo una parte sono residenti a Taranto, la maggior parte dei lavoratori vengono dalle province di Brindisi, Bari, Lecce, Matera e dalla stessa provincia di Taranto, anche dai quei centri, e lo dico con una leggera vena polemica, che con il riordino delle province vogliono andare con la provincia di Lecce. Il problema è che questa grande industria fu creata, sacrificando un intero territorio, per dare lavoro a migliaia di persone che non esitarono a lasciare attività legate al mare, all’artigianato e all’agricoltura. Quindi adesso si tenta, con un investimento anche culturale, di giustiziare quella fabbrica per restituire a Taranto il futuro rubato e di restituire una speranza ai suoi figli, i quali attualmente sono gravemente ammalati a causa dell’inquinamento. Ricordiamoci che la neoplasie infantili a Taranto sono in fortissimo e costante aumento, quindi dismettere quella fabbrica significa restituire quel futuro fatto anche di turismo, il museo di Taranto dopo quello di Napoli è il più importante del Meridione. In sintesi di restituire la dignità a questa città che ha 2mila e settecento anni di storia e checché ne dica il presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido questa non è una città a vocazione industriale, non si può etichettare una città sulla base degli ultimi cinquant’anni. Questa è una città che ha fortissimi legami con il mare, ha un grande porto oggi completamente asservito agli interessi dell’industria e questo non è un bene, perché l’asservimento univoco ad una fabbrica non permette alle altre attività di espandersi. E tra l’altro non è vero che questa fabbrica ha creato posti di lavoro, questa fabbrica ha bruciato posti di lavoro e ha fatto attorno a sé terra bruciata. Ricordiamo anche lo sterminio degli ovo-caprini, circa 3mila esemplari abbattuti e assieme a questi la perdita dei posti di lavoro perduti in questo settore. Ricordiamoci dei posti di lavoro persi nella mitilicoltura e teniamo presente tutte quelle attività che non possono decollare: un turista esigente potrebbe venire a Taranto nello stato attuale? Non credo, per vedere cosa? Le ciminiere? Non può svilupparsi in queste condizioni un turismo. È una città marchiata dall’industria e dall’inquinamento. Per capirci io non sono contrario all’industria, sono contrario a quelle industrie che per produrre e garantire dei profitti che non vanno alle popolazioni locali ma prendono vie molto più a nord di Taranto. Qui rimangono solamente le briciole, lo sporco e rimane la tristezza di vedere una città bella ma violentata dalla grande industria che di certo non attira turismo, benessere e ricchezza. Quello che a Taranto serve non sono i posti di lavoro, a Taranto serve ricchezza: creando ricchezza si crea un indotto di benessere diffuso.
Come si crea questa ricchezza di cui parli? Alla ricchezza si arriva attivando tutte quelle attività compatibili con l’ambiente. Secondo te si ritornerebbe di nuovo alla miticoltura? Perché no? 

E quanto ci vorrebbe prima che queste attività possano dare risultati positivi? È chiaro che tutto parte dall’individuazione delle fonti inquinanti, la soppressione, la bonifica per poi poter ripartire con le attività compatibili con l’ambiente. Per fare le cozze c’è bisogno solo di mare, sole e aria; non c’è bisogno di altoforni o cokerie. La mitilicoltura peraltro favorirebbe anche lo sviluppo turistico, abbinato la grande risorsa rappresentata dalla storia di questa città. Non può una città essere monopolizzata dalla produzione dell’acciaio, anche perché credo che ogni città, ogni territorio deve produrre in base alle proprie caratteristiche naturali: Taranto di naturale ha il mare e in particolare il mar Piccolo, dove si potrebbe realizzare un immenso allevamento di pesci, fatto quindi in mare e non in vasche o in gabbie, in un ecosistema naturale piccolo e controllabile. Questa sarebbe la grande scommessa. Io credo che questa città una volta ritornata alla originaria vocazione riuscirà a ricompattarsi anche dal punto di vista sociale. Quando parli di bonifica a cosa ti riferisci concretamente? Basti pensare che a Taranto la quantità di diossina che è stata emessa è almeno due o tre volte di più di quella di Seveso e se li hanno asportato circa 70 centimetri di terreno per un raggio di diversi chilometri, a Taranto dovrebbe praticarsi almeno lo stesso trattamento, se non addirittura più incisivo perché, come detto, le percentuali di inquinamento sono molto più elevate.  Che fine farebbe quel terreno inquinato? Questo terreno dovrebbe essere stoccato e inviato certamente in Germania per essere neutralizzato per evitare che le sostanze tossiche continuino a disperdersi nell’ambiente.  

lunedì 19 novembre 2012

"Occorre una legge che realmente guardi all’area di Taranto come un’area necessaria per il Paese. La città va salvata da un destino di inquinamento che a questo punto sembra millenario": intervista al giornalista tarantino Fulvio Colucci



Fulvio Colucci, giornalista de 'la Gazzetta del Mezzogiorno'
Foto Archivio Vito Stano
Dopo avere letto “Invisibili” è scattato un corto circuito e allora ho capito che dovevo allontanarmi dal quadro per poter meglio guardare l’insieme. In modo particolare ho capito che dovevo prestare più attenzione ai fattori che compongono il tutto: il lavoro e la salute prima di tutto. Ho deciso quindi che per raccontare la situazione tarantina era necessario capire le ragioni dei protagonisti della città e della fabbrica e anche alcuni osservatori eccezionali, tra questi il giornalista de “la Gazzetta del Mezzogiorno” della redazione di Taranto Fulvio Colucci in prima linea da tempo.

Intanto la magistratura ha «autorizzato - si legge in un articolo di Domenico Palmiotti sul sito de 'Il Sole 24 Ore' di lunedì 19 novembre - una nave a scaricare 45mila tonnellate di materiali. La deroga alla direttiva che fissa il doppio limite all'azienda – 15mila tonnellate di scarico per volta e giacenze non superiori ai 15 giorni – arriva dopo l'ipotesi di fermata generale e improvvisa il 14 dicembre per assenza di materie prime fatta dal presidente Bruno Ferrante nei giorni scorsi. L'Ilva dice che il via libera vale solo per una nave e solo per un quantitativo, e il rischio di fermata dunque persiste».

A questo link l'articolo completo de 'Il Sole 24 Ore':
http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2012-11-18/futuro-ilva-giorni-decisivi-081256.shtml?uuid=AbFHG93G&fromSearch

A cura di Vito Stano

Il lavoro è determinante per venire a capo della situazione, infatti la contrapposizione tra operai e attivisti pro salute e pro ambiente è il nodo da sciogliere. Dalla tua postazione che definirei di trincea e in virtù della notizia che hai dato sulla Gazzetta (“Annuncio choc di Ferrante «L’Ilva chiude il 14 dicembre con gravi rischi di incidenti»” del 16 novembre 2012) quali sono le prospettive?

Le prospettive sono che se stiamo alle parole del presidente dell’Ilva alla Procura della Repubblica il 14 dicembre dovrebbe chiudere l’area a caldo, perché non ci sono materie prime da immettere nel ciclo integrale e quindi non c’è più possibilità di creare l’acciaio. Le prospettive dunque non sono certamente rosee, ci troviamo di fronte a una situazione di grande difficoltà perché abbiamo un quadro complicato dall’inchiesta e dalle scelte fatte e quindi dalla necessità di venire fuori da una situazione non facile: di fronte abbiamo sempre il nodo salute e ambiente, da un lato, e occupazione, dall’altro. Un nodo che non si è sciolto, perché la fabbrica continua a produrre e quindi, secondo l’inchiesta della magistratura, si continua a commettere il reato di disastro ambientale e dall’altro lato c’è all’interno della fabbrica una situazione problematica, come dicevi tu, il lavoro, questa parola che è diventata quasi sconosciuta. C’è il lavoro di quasi 11mila e cinquecento persone che è a rischio, ma ormai dire a rischio è un eufemismo, perché noi abbiamo da calcolo poco meno di mille persone in ferie forzate già a partire da questa settimana e poi la cassa integrazione che ufficialmente scatta a prescindere dalla trattativa con i sindacati per 2mila persone per tre mesi. Questo nell’aria a freddo, quella che si pensava non sarebbe stata colpita dove avviene la cosiddetta laminazione dei prodotti, un’area che si pensava che non sarebbe stata toccata dalle criticità dell’inchiesta e dei problemi ambientali. Però d’altro canto viveva già dapprima dell’inchiesta dell’area a caldo una situazione di criticità del mercato e quindi di difficoltà di piazzare i prodotti. Poi al netto di quello che potrebbe succedere il 14 dicembre, dal giorno uno del mese, secondo quelle che sono le prescrizioni dell’Aia previste dal Ministero dell’Ambiente, l’altoforno numero uno si ferma per l’ambientalizzazione, cioè per quei lavori che lo dovrebbero rendere ecocompatibile e dovrebbero impedire finalmente che inquini. Insieme all’altoforno si dovrebbero fermare mi pare due o tre batterie della cokeria.

Questo cosa comporta?

Comporta l’esubero di 2mila persone così di botto; questo numero si aggiunge al numero (mille, ndr) dell’aria a freddo. Cosa succede per queste persone?

Non vengono reintrodotte nel processo di ambientalizzazione?

Fino a poche settimane fa si pensava che queste persone sarebbero state ricollocate, ma adesso con la cassa integrazione nell’aria a freddo queste persone inevitabilmente non saranno ricollocate. L’Ilva lo ha detto e quindi si apre uno scenario drammatico da questo punto di vista. Ecco perché occorre capire finalmente qual è il nuovo passaggio di questa vicenda enormemente intricata.

Qual è dal tuo punto di vista?

Probabilmente adesso bisogna capire cosa succede rispetto all’applicazione dell’Aia e rispetto a quelle che saranno le decisioni della magistratura, che di decisioni ne ha già prese. L’Ilva chiede il dissequestro degli impianti per produrre così da poter (dichiara la proprietà, ndr) avere quella disponibilità in cassa necessaria per fare gli investimenti per l’ambiente. Ma il dissequestro degli impianti non può avvenire attraverso una trattativa, perché la magistratura certamente non tratta, e quindi siamo difronte alla necessità di venire da questa situazione. Onestamente una soluzione all’orizzonte non c’è, perché noi abbiamo due situazioni diverse: una situazione di tipo giudiziario e poi le decisioni del governo, sono due binari paralleli che così non si possono incontrare. Io credo che a questo punto bisognerà capire se l’Ilva fa dei concreti passi avanti, li ha solo annunciati fino ad ora, se dopo aver presentato il piano industriale e aver avuto l’ok dal ministro dell’Ambiente Clini fa realmente conoscere questo piano industriale che dovrebbe mettere mano agli impianti e fa capire bene l’ordine degli investimenti.

Non si a quanto ammonteranno gli investimenti?

Una prima stima parlava di 3 miliardi e direi che è una stima verosimile, anche se poi se i 3 miliardi li consideriamo in ragione dell’ambientalizzazione degli impianti, mentre molti e molti più soldi ci vogliono per la bonifica. Certamente molto di più di quelli che ha previsto il governo nel famoso decreto per Taranto dello scorso agosto, che prevedeva in relatà molti soldi per il porto e pochi soldi per le bonifiche vere e proprie. Occorre credo una mobilitazione del governo non circoscritta al Ministero dell’Ambiente e che realizzi finalmente una legge per Taranto per esempio e che permetta di fare concreti passi avanti. Attenzione una legge per Taranto che non salvi la situazione che c’è.

Un condono magari?

No, occorre una legge che realmente guardi all’area di Taranto come un’area necessaria per il Paese, nella quale se si deve continuare e a produrre acciaio si deve produrre in maniera pulita e comunque la città va salvata da un destino di inquinamento che a questo punto sembra millenario, sembra perenne; il che non può essere perché abbiamo pagato, in termini di vite umane, non lo dico io ma il Ministero della Salute e i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, un contributo altissimo. Se non c'è una legge che rispetti l'ambiente risanandolo, ed è difficile che ci sia in questa situazione politica ed economica, è meglio per Taranto voltare pagina.