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sabato 20 luglio 2013

Luglio tra calure estive e tragici anniversari. Le infinite storie di mafia

Il 12 luglio di dodici anni fa veniva ucciso per errore Michele Fazio. Quest'anno, come ogni anno, numerose associazioni legate e non alla rete di Libera e tanti singoli cittadini, alla presenza delle istituzioni cittadine hanno ricordato l'avvenimento. 

Ma luglio è anche il mese in cui viene ricordato il sacrificio del giudice Paolo Borsellino e degli uomini e le donne della sua scorta, ucciso dal deflagrare del tritolo in via D'Amelio a Palermo il 19 luglio del 1992. Oggi a 21 anni da quell'avvenimento le ombre anziché disperdersi si sono allungate. A questo proposito copio dal sito del professor Nicola Tranfaglia, storico delle mafie, lo scritto che riporto di seguito assieme all'indirizzo web.   
V.S.


di Nicola Tranfaglia

L’estate di questo strano 2013 ha portato la prima sentenza sul 1992, anno che tutti ricordiamo per le stragi di Capaci e di via d’Amelio e che sarà seguita nell’autunno con ogni probabilità dal processo centrale sulle trattative tra mafia e Stato che vede alla sbarra (o comunque imputati) accanto ai capi mafia detenuti (tra i quali Riina, Brusca e Bagarella), due politici importanti come l’ex presidente del Senato Nicola Mancino, l’ex ministro per il Mezzogiorno Calogero Mancino e gli ufficiali del Ros Carabinieri  Mori e Obinu  assolti ieri perché il fatto non sussiste. Ossia perché la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano nel giugno 2006 a Mezzojuso  è avvenuta senza che ci fosse da parte loro un dolo, cioè la commissione di un reato di favoreggiamento nei confronti del capomafia latitante. 

Non è la prima sentenza del genere nei confronti di Mori che venne assolto all’indomani della cattura di Salvatore Riina quando fu imputato di analogo reato per la mancata perquisizione del covo del boss, ordinato dalla procura palermitana  subito dopo l’arresto avvenuto a Palermo il 15 gennaio 1993. Anche qui i giudici si trovavano di fronte a un fatto sicuramente avvenuto e imputato proprio al Ros dei Carabinieri (in particolare a Mori e a De Caprio, il mitico comandante Ultimo) competenti per l’azione da compiere e decisero di assolvere gli imputati. La sentenza di Palermo dichiara con ciò inattendibili la testimonianza del colonnello Riccio dei Carabinieri di Palermo e del pentito Massimo Ilardo assassinato a sua volta nel 1996 dai mafiosi siciliani e non spiega chi siano i colpevoli di quella mancata cattura come della mancata perquisizione di tre anni prima. Insomma aumentano  le tenebre che sicuramente alcuni uomini e alcuni pezzi dello Stato e della politica hanno interesse a mantenere sulle trattative del '92-93. Perché è difficile, per non dire impossibile, che quelle trattative non ci siano state.   

Ricordo io stesso di aver scritto più di un editoriale nella seconda metà degli anni novanta  sull’Unità  diretto allora  da Concita de Gregorio che dicevano apertamente come le trattative ci fossero state e lo dimostrava la revoca di oltre trecento misure di 41 bis da parte del ministero in carica allora. Ma a mano a mano che gli anni sono passati e le associazioni mafiose  piuttosto che afflosciarsi e diventare più deboli, sono diventate invece più forti e prospere, con il ritorno della destra al potere e poi del governo tecnico  quelle trattative sono diventate sempre più difficili da accettare da parte delle nostre classi dirigenti. Così oggi mentre il nostro parlamento sembra avere qualche difficoltà a istituire una nuova commissione di inchiesta sulle mafie, come pure chiedono tutte le associazioni culturali che si occupano di questi problemi (a cominciare dall’associazione 'Pio La Torre' che ha scritto in questi giorni ai presidenti delle Camere per sollecitare l’iniziativa), incominciano a diffondersi anche nelle aule giudiziarie i dubbi sul recente passato e su quelle trattative proprio mentre tutto quello che succede oggi in Italia e nel mondo dovrebbe condurci a guardare con grande attenzione alle pagine oscure ma significative del rapporto tra mafia e politica. 

Ma la giornata di oggi diciannove luglio 2013 è dedicata alla memoria di Paolo Borsellino e dei cinque agenti di scorta che morirono con lui in quell’assolato pomeriggio palermitano di fronte alla casa di sua madre in via D’Amelio per una bomba di centinaia di chili di tritolo di cui fu imbottita l’auto centoventisei Fiat posta di fronte all’abitazione cui il giudice siciliano era diretto. Le interviste che tre giornali (Il Corriere della Sera, l’Unità e Il fatto quotidiano hanno fatto rispettivamente al procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi, all’ex senatore Giuseppe Lumia e al procuratore di Palermo Sergio Lari) non hanno aggiunto notizie importanti  al complesso dei fatti che sono oggetto del processo in corso sulla trattativa tra mafia e Stato né alla spiegazione delle ragioni che hanno condotto ieri i giudici di Palermo ad assolvere gli ufficiali dei carabinieri Mori e Obinu.   

L’unico grande quotidiano che ha dimenticato del tutto  l’avvenimento è mi dispiace doverlo ricordare  la Repubblica di Ezio Mauro, occupata a tempo pieno a celebrare il governo delle «larghe intese» Pd-Pdl di Enrico Letta, sostenuto a corpo morto dal presidente della repubblica, Giorgio Napolitano. La verità dei fatti, per chi si è dedicato con i suoi studi al fenomeno mafioso, è che ancora grandi ombre pesano sui rapporti tra mafia e politica nella storia d’Italia. Non nel senso che quei rapporti non ci siano stati, o che non abbiano riguardato problemi importanti del nostro passato come, con ogni probabilità, del nostro presente ma piuttosto  nel senso che non siano stati così importanti e decisivi da condurre a modificare comportamenti rilevanti degli organi istituzionali, politici o giurisdizionali, e favorire la battaglia delle associazioni mafiose da sempre attive nella conquista di un potere sempre maggiore nella nostra società. 

C’è una difficoltà  da superare che  giudici come Falcone e Borsellino siano stati eliminati perché percepiti come ostacoli in  una guerra senza quartiere contro Cosa Nostra, che altri giudici (come Livatino,  Scopelliti, Saitta o Terranova e Bruno Caccia a Torino) o ancora politici (penso a Pier Santi Mattarelli) siano stati uccisi per le stesse ragioni e che, a distanza di venti o più anni dai fatti sicari o mandanti di quegli omicidi, siano ancora a tutti gli effetti impuniti. E ancora per chi scrive è difficile ammettere, come scrive l’illustre prof. Fiandaca, che trattare con Cosa Nostra sia dal punto di vista del diritto penale indifferente o addirittura lecito. Non è espressione di una visione «politi cistica» o, come scrive Fiandaca «sostanzialistica», sostenere che una trattativa mafia-stato sia un aspetto indubbio del rapporto tra lo stato di diritto che regge la nostra costituzione democratica  e le associazioni mafiose e che esprime la malattia di fondo che affligge la nostra repubblica.  

Sono ancora convinto, come scrivono magistrati del passato come Falcone e del presente come Caselli, che trattare con la mafia significa accantonare la lotta contro di essa, cercare una composizione con le sue pratiche, la coabitazione con i suoi metodi, in altre parole accettarne le regole di fondo. 

mercoledì 22 maggio 2013

Capaci di ricordare: a 21anni dalla strage che uccise Falcone e le scorta



«Una giornata terribile, quella di domenica (19 maggio, ndr), per la città di Bari. Altri tre morti, questa volta nel quartiere San Paolo. Un altro rituale di morte, consumato impunemente di domenica mattina, a pochi passi da luoghi frequentati, con il rischio di coinvolgere innocenti. Così –  ha scritto Alessandro Cobianchi, referente Coordinamento regionale Libera Puglia in una nota diramata per commentare l'accaduto – come per l’omicidio di Giacomo Caracciolese, un delitto consumato in pieno giorno nel peggiore rituale di mafia. Vite consumate che pagano a caro prezzo le loro scelte sbagliate, quasi un incontro che può essere rinviato ma che si chiude con la morte o con il carcere. Quando si stancheranno, queste famiglie, di macchiare le strade di sangue? Quando cederanno al peso delle loro stesse macerie personali, alle assenze che nessun tempo potrà colmare, alle guerre perenni, morti su altri morti? Spesso, a caldo, di fronte ai corpi sull'asfalto, la società civile s'indigna, per poi tornare subito al silenzio. Ed invece dovremmo dire basta a voce alta, perentoria, senza mediazioni. Urlare la nostra contrarietà, obbligarli a fermarsi».



«Con la partecipazionecon la voglia di fare società, – continua Cobianchi – con l’ambizione alla giustizia sociale che faccia diventare “fuori moda” la spasmodica ricerca illegale del denaro, banconote e monete macchiate di sangue che nemmeno riusciranno a godersi.  Per questo chiediamo uno scatto in avanti alla città, alle istituzioni ma anche ai normali cittadini per costruire assemblee locali in cui mettere al centro la voglia di sgominare realmente la criminalità organizzata, isolando coloro che non hanno capito il destino terribile di ognuno che imbraccia un’arma, che non ha alcun ritegno della vita altrui. La confisca dei beni, la costruzione di società alternative ala mafie rappresentano davvero l’unica possibilità per uscire da questa spirale tremenda. Perché come cittadini che abitano quotidianamente gli spazi e i tempi di Bari, ci sentiamo profondamente toccati ed offesi, realmente limitati e danneggiati, ancora una volta, nella nostra libertà di viverli».

«Per questo,  – conclude Cobianchi – sentiamo oggi l’urgenza di chiamare a raccolta la città, riunirla attorno a una riflessione seria e profonda sulle sue problematiche. In quest’ottica, un momento (non l’unico, ma certamente uno dei più importanti) per dare risposte comuni e forti, può essere la manifestazione che Libera Puglia, insieme con l’Arci, con l’Agenzia per la lotta non repressiva alla criminalità organizzata del Comune di Bari, con l’ANM (e in collaborazione con altri soggetti quali la Rete della Conoscenza, l’Associazione Kreattiva, il Gruppo Educhiamoci alla Pace, l’Edificio della Memoria e l’Associazione Antimafia Rita Atria) abbiamo organizzato per giovedì 23 maggio, quando dalle 16.00, presso l’Istituto Salvemini di Japigia (altra zona notoriamente e storicamente considerata difficile nel contesto urbano di Bari), ricorderemo, le stragi di Capaci. Esserci per ricordare le vittime di allora certo. Ma esserci anche per mostrare la nostra forza di reazione, la nostra coesione di fronte a strutture che, proprio della loro organizzazione fanno la loro forza. Esserci, quindi, per riguadagnare il terreno perso in questi anni in cui abbiamo abbassato la guardia. Per riconquistare il controllo etico della nostra città».

Questo tragico episodio coincide con la data del 23 maggiogiorno in cui si ricorda il ventunesimo anniversario della strage di Capaci, in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo; il Coordinamento Regionale Libera Puglia, l'Arci Puglia, il Comune di Bari - Agenzia per la lotta non repressiva alla criminalità organizzata (in collaborazione con Associazione Nazionale Magistrati, Rete della Conoscenza Puglia, Associazione culturale Kreattiva, Associazione antimafia Rita Atria - presidio di Bari, Istituto Salvemini Bari, Gruppo Educhiamoci alla Pace e con l'Edificio della Memoria) hanno organizzato la manifestazione 'Capaci di ricordare', che si svolgerà presso la scuola Salvemini di Bari e avrà inizio alle 16,00 con la proiezione del cortometraggio A29, per concludersi attorno alle 22,00. 

22.05.2013
Vito Stano