di Vito Stano
Benedetta campagna elettorale, che ci fa incontrare e salutare dopo lunghi periodi di relazioni magre, oltre che conoscere
compaesani mai visti primi. Noi cittadini di Cassano delle Murge siamo
fortunati, perché grazie al periodo elettorale possiamo affrancarci dalla
triste vicenda quotidiana che sta riguardando l’Ucraina.
A me però è capitato che
l’altra notte ho fatto un sogno, un brutto sogno. Ho sognato di essere in un
luogo pervaso dalla guerra. Ho provato emozioni reali, come nei sogni capita.
E al risveglio ho preso la penna per non dimenticare quell’incredulità davanti
alle facce intraviste nel buio di una stanza. Stanza il cui ingresso mi era
precluso dallo sbarramento fisico di un compagno di battaglia, il quale dopo la
mia insistenza s’è fatto da parte lasciandomi vedere e avvicinare ad un letto di
fortuna sul quale dormiva, visibilmente sofferente mia figlia. Sorriso spento e
grigia in viso, forse per la stanchezza o forse sofferente per una ferita
subita. E d’un tratto mi riconosce e i suoi occhi di sempre prendono di nuovo
vita e scatta come una molla abbracciandomi.
Io la guerra, che sta distruggendo la vita di milioni di persone in Ucraina, evito di guardarla, perché sono stanco di saturarmi la vista e
anche a causa della fervida immaginazione che m’accompagna, che unita ad una
spiccata sensibilità alle sofferenze altrui, mi farebbe sentire troppi colpi,
accrescendo quell’impotenza di fronte ai grandi disastri della Storia e della
vita. In effetti avrò visto un tg e due-tre (al massimo) trasmissioni tv serali,
più qualche video-commento sul canale youtube della rivista Limes e nonostante
questa dieta dello sguardo, mi è bastato che la sera antecedente al sogno abbia
ascoltato un fatto relativo all'accoglienza dei bambini ucraini nella mia cittadina
murgiana (in perenne lotta elettorale) per soffrire in sogno una realtà così lontana.
Io poi un fucile tra le mani non l’ho mai tenuto. Eppure in sogno ne
stringevo uno tra le mani. Era bianco e tenendolo tra le mani mi sentivo
inadeguato, chiedevo al mio compagno d’armi (questa volta riconoscevo in lui mio
fratello gemello) consigli e ripetevo domande alle quali avevo già avuto risposte
incomprese. Lui che ha fatto il servizio militare (al contrario mio) mi
rassicurava stringendo tra le mani un fucile enorme di quelli alla rambo con
catena di proiettili a tracolla.
Il sogno, come la fotografia, non esistono nella realtà. Ma
se la costruzione è efficace le emozioni che ne conseguono sono reali. Fanno
ridere o fanno piangere come se fossimo in preda ad una dittatura delle emozioni, dalle quali si fatica a liberarsene al risveglio.
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