mercoledì 11 marzo 2020

Tra surrealtà e memorie del passato: il colera al tempo del coronavirus

di
Vito Stano

Pensavo ad un reportage ai tempi della peste, poi una volta fuori per strada mi sono reso conto della solitudine nella quale il paese era immerso. Le piazze e strade vuote, o quasi del tutto, declamavano più di ogni altro soggetto quella che è la situazione attuale. Alquanto surreale per qualcuno, per altri al limite della caricatura. 

Ho fatto due tappe lungo il mio giro: il primo interlocutore (a distanza di sicurezza) è stato un anziano vestito leggero (e senza DPI: dispositivi di protezione individuali) incrociato vicino ad un parco giochi, il quale rivolgendosi a me in tono canzonatorio mi chiedeva se fosse finito il periodo delle mascherine, come a supporre un eccesso di precauzioni o magari una fobia collettiva mai vista prima. Tesi, antitesi e sintesi: fine della conversazione. Io domando permesso e proseguo sui miei passi, che mi portano risalendo via Capitan Galietti verso la piazza Rossani. Lì mi accorgo dei lavori che procedono nel cortile-parco giochi del plesso della scuola dell'infanzia nella medesima piazza e scatto una foto da lasciare ai posteri. E ancora proseguo verso la mia meta, la piazza grande: in effetti i circoli sono quasi deserti, quattro uomini separati da distanze abissali. Un anziano in coppola siede su di un panchina, un altro meno attempato legge un quotidiano poco distante ma non troppo vicino. Un uomo in piedi picchetta l'uscio di un circolo mediamente affollato in tempi di pace e l'ultimo dei quattro procede spedito senza indugio dal lato opposto della piazza andando verso via Gramsci. L'assenza delle balle di fieno rotolanti mi hanno riportato alla realtà, all'oggi e all'emergenza da contagio, altrimenti avrei potuto vivere il mio momento magico entrando nella scenografia quasi perfetta alla C'era una volta il West. Un sogno individuale  nell'incubo collettivo. 

Finalmente mi decido a calpestare le vituperate chianche della desolata piazza Moro e dando un'occhiata alla mia sinistra scorgo un uomo nella stradina di fianco al bar che mi fa un cenno di saluto e seguendo senza fermarmi vedo compiaciuto due uomini separati dal tavolino comodamente seduti al bar. Bar che seppur con la porta d'ingresso spalancata appare deserto, come fosse stato abbandonato da tutti tranne che dai due uomini. Due vecchi amici evidentemente, che rivedrò assieme in auto in altra zona del paese. L'amicizia è una gran bella consolazione in tempi difficili. E in effetti anch'io avevo un appuntamento con un amico ma per sua sventura il pranzo sulla sua tavola è slittato e quindi mi ha dato buca. La pancia e l'amicizia altra relazione da esplorare. 

Seppur nessuno degli uomini (si solo uomini, nessuna donna) incrociati nelle due piazze Rossani e Moro e nelle strade adiacenti indossassero mascherine o guanti, la prossemica è forse l'unica vera novità di questo nuovo modo di relazionarsi con l'altro. Pochi tocchi sfuggenti di gomito, pare che alcuni si tocchino coi piedi (alla cinese mi dicono ma non trovo conferma di questa genesi), queste le testimonianze di calore e affetto che è possibile profondere all'amico. Al conoscente è sufficiente un alzata del capo o della mano. A ognuno il suo. Del resto farsi servire il caffè al bancone del bar da un soggetto con indosso una mascherina a carnevale già concluso, in effetti potrebbe trarre all'ilarità. Non me ne vogliano i baristi ma non è bello dare un metro all'amico al bancone del bar. Niente caffè e pace. 

Continuando incontro un edicolante, volto e nome storici del paese, il quale a serranda ancora giù della sua attività e invitato a commentare la novità, mi racconta, senza lamento alcuno, che era uscito per andare dal barbiere ma ha trovato chiuso. Quindi niente barba e niente capelli. A conferma della testimonianza più tardi consultando facebook trovo un post del barbiere in questione, il quale facendo riferimento all'emergenza sanitaria avvisava che avrebbe osservato la serrata della bottega. Pazienza. A far compagnia all'anziano edicolante un altro popolano intento a far pulizie sull'uscio della bottega. Desideroso di commentare le novità, raccontava che stamattina aveva lavorato come tutte le mattine ma con la mascherina. Ebbene si, altrimenti «altro che virus, il colera arriverebbe se si fermasse la raccolta dei rifiuti urbani, come nel 1973», (ndr, sono troppo giovane per ricordare ma la verifica gli ha dato ragione).

Intanto l'impazienza, l'incredulità e la sorpresa si fanno largo alla vista in tv di spettacolari disinfestazioni di navi, aerei grandi come navi e uffici e reparti d'ospedale. E come se non ciò non bastasse, giù con teorie cospirazioniste atte a disequilibrare le sorti del mondo, a vantaggio di chi non si riesce proprio a capirlo.

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