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Parco Nazionale del Gargano - Foresta umbra |
A coloro che nella Foresta umbra non ci sono mai stai non si può che raccontare la bellezza, la maestosità, la solitudine di quel luogo, di quella Natura, in cui aleggia qualcosa di magico, di senza tempo.
Attraverso la fotografia ho provato a racchiudere i segreti di quei luoghi stupendi. Forse come Ansel Adams, che ai suoi tempi fotografava un'America che non c'era piu', anch'io ho racchiuso tutto nell'"iperbole" - come Pio Meledandri, direttore del Museo della Fotografia del Politecnico di Bari, scrive in un suo post riferendosi all'opera del fotografo americano - nel racconto del passato.
In effetti se dovessimo raccontare l'Italia di oggi dovremmo raccontare soprattutto di disastri ambientali: frane, ecomostri di ferro e cemento, inquinamento marino (come non citare il disastro della Costa Concordia), seppellimenti e spargimenti di materiali nocivi su terreni incolti e non (come dimenticare il caso dello spargimento di fanghi tossici e nocivi sulla Murgia barese), piuttosto che parti piu' o meno incontaminate, quali sono i parchi naturali e le riserve protette.
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Dunque qual è la sfida attuale, rappresentare il peggio? Da tempo dedico la mia attenzione a fare monitoraggio del territorio, soprattutto di quello murgiano, spinto da una duplice voglia: documentare lo stato di degrado in cui il genere umano ha ridotto la componente naturale; e creare una piattaforma visiva utile a smuovere le coscienze degli uomini e promuovere un cambiamento di rotta all'attuale marcia distruttiva.
Dunque un fine documentaristico e uno piu' prettamente politico.
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Effettivamente (e chiaramente non è in discussione) rappresentare la Natura così come potevano farlo i pionieri della fotografia è, potremmo dire, antistorico.
Poiché strumentale a raccontare in un modo che appartiene al passato (e dunque già visto) e utilitaristico (per mostrare ciò è ancora rimasto di inalterato).
Ma cosa non è strumentale e utilitaristico? Anche rappresentare la realtà urbana con le sue nefandezze grige è utile a qualcosa. Oltre che conservare un fine documentaristico, serve a raccontare la contemporaneità.
Oppure è necessario, per entrare nel dibattito, fare un certo tipo di fotografia, da cui quindi la rappresentazione della Natura nuda e pura sarebbe esclusa? Sembrerebbe pertanto che parlare oggi di Natura significhi necessariamente raccontare di disagi e disastri, di impatto umano sulle cose inanimate. Di impronta ecologica dunque.
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E su questo credo che, a parte portare a casa delle belle immagini da luoghi non esotici ma allo stesso modo incantati, sia necessario raccontare per immagini la dannosa impronta che l'uomo sta lasciando ai posteri.
Non so quanto questo aspetto possa interessare e appassionare i partecipanti al dibattito sulla fotografia contemporanea, ma personalmente credo che di questi aspetti sia necessario scrivere e rappresentare oggi piu' che mai.
Forse questa predilezione-attenzione per i luoghi naturali è frutto della mia abitudine (e della mia volontà) a vivere il piu' possibile a contatto con la Natura.
Indubbiamente vivere nell'entroterra murgiano piuttosto che in città porta inevitabilmente (almeno nel mio caso) a concentrare l'attenzione visiva e spaziale sul contesto naturale e le interazioni umane che il piu' delle volte si connotano come agenti di disturbo (strutture abbandonate, incendi dolosi e altro).
Uomo e Natura non sono mai stati così agli antipodi come da qualche decennio a questa parte ed è proprio per questo che l'occhio attento - del sottoscritto in questo caso - (o presunto tale o magari completamente abbagliato dalla luce del passato) si focalizza sugli aspetti estremi dello stesso: ciò che di piu' bello c'è e ciò che di piu' brutto c'è.
31.01.2012
foto e testo di Vito Stano
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Albero attaccato da fungo parassita |
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